Abbiamo
riempito l’Italia di asfalto e cemento, abbiamo bucato, traforato, deviato
fiumi, espropriato, distrutto, prosciugato sorgenti, creato laghi, cancellato
panorami, coste e montagne. Il tutto snobbando con un’alzata di sopracciglio,
le proteste, le perplessità, le esigenze di chi in quei luoghi ha convissuto
per secoli con rispetto e all’interno di un rapporto equilibrato con l’ambiente
circostante.
Non è la nostalgica riproposizione dei bei tempi andati o del buon
selvaggio capace di convivere con la natura e i suoi rischi. Perché i
terremoti, anche distruttivi, ci sono sempre stati, come alluvioni e
inondazioni. Fenomeni che non si potevano (e non si possono ) prevedere né fermare.
Quello che possiamo fare, grazie alle moderne tecnologie e alle conoscenze
acquisite nel corso dei secoli da ricerca e scienza, è di utilizzarle al
meglio per la prevenzione, lo studio e la salvaguardia di comunità umane e
naturali.
Oltre
l’impatto devastante con rischi non sufficientemente considerati delle
cosiddette grandi opere “indispensabili” quanti miliardi di euro costeranno? Tutte
risorse che andranno a pesare, insieme ai danni ambientali, in un bilancio futuro come saldo negativo in
termini sia economici che sociali.
Anche l’ONU ci fa sapere che l’Italia è in
ultima posizione in quanto a prevenzione, strutture e adeguamenti per la
sicurezza del territorio. Mentre siamo sicuramente all’avanguardia per linee Alta velocità, rete
autostradale, cattedrali e opere inutili progettate e costruite per i grandi
eventi.
L’Italia,
che si dimostra straordinariamente solidale e generosa in occasioni tragiche, è
però incapace di controllare e amministrare il quotidiano. Per guadagnare 5 minuti tra
Roma e Milano non ci si ferma neanche di fronte il rischio di provocare potenziali
danni in città come Firenze.
Italia,
paese dalla natura e dal patrimonio artistico tanto preziosi e straordinari
quanto ignorati e fragili, non può e non deve permettersi distrazioni o delegare
ad un ipotetico futuro la presa di coscienza di tale realtà e la necessità di
scelte conseguenti.
Introdurre
nel sentimento e nelle coscienze colletive, prima ancora che nelle regole scritte,
che gli aspetti economici, gli interessi finanziari non potranno e non dovranno
mai avere la prevalenza rispetto la salvaguardia e la messa in sicurezza del
territorio, delle comunità che le abitano e della stessa vita umana.
Ma, si dirà, il debito pubblico, gli accordi con l’Europa da rispettare, il fiscal compact
che ha strangolato gli enti locali, come si fa, dove troviamo le risorse.
Ecco
il punto focale attorno il quale, anche se si vuol far finta di niente, ruota
tutto il discorso e ritroviamo il bandolo della matassa.
I
soldi si trovano e ci sono solo per quelle opere che garantiscono ,
speculazioni e salvaguardano interessi che ricadono nell’immediato e
limitatamente ad alcuni soggetti. Quei, come li definisco io, “lor signori”, che
con argomentazioni supportate dagli "Azzeccagarbugli” di turno, tentano (riuscendoci) di
convincerci che sono opere necessarie per lo sviluppo e la modernizzazione del paese oltre che per creare posti di lavoro, anche se precario e limitato nel tempo.
Gli
stessi che sono i guardiani degli interessi finanziari e speculativi della nuova economia
globale che salvaguarda i profitti, il libero scambio di merci al più basso
costo possibile, bypassando esigenze vitali di singoli e di interi popoli. Gli
stessi che considerano moralmente accettabile il sacrificio di migliaia di
esseri umani in guerre “umanitarie”. Che obbligano milioni di uomini e donne a
migrazioni bibliche per sfuggire a guerre e fame e farli, poi, finire ammassati e
sfruttati in lager ai margini delle ricche e accoglienti democrazie.
Si
dirà che c’entra tutto questo con i terremoti?
C’entra
come c’entrano tutte le altre migliaia di cose che non vanno nella nostra
moderna società. C’entra e c’entrano tutte quelle speculazioni e quei
condizionamenti che ci portano a giustificare e a considerare prioritario l’interesse
economico, piuttosto che gli interessi della sopravvivenza e salvaguardia del
pianeta e dell’umanità.
Non
aspettiamoci che questa presa di coscienza, che questa inversione di tendenza
parta da lor signori o dall'alto. Deve maturare, crescere all’interno di ognuno di noi che
senta questa esigenza.E, conseguentemente, maturare la convinzione e la necessità di trasformarla, con
azioni e prese di posizioni, in qualcosa di visibile e tangibile. Ognuno nel proprio
ambito sia esso politico, sociale, religioso, filosofico, morale.
Siamo
vigili e presenti laddove questi pericoli si manifestano e si concretizzano, si
sensibilizzi il proprio parente, il vicino di casa, si rompa le scatole al
politico, all’amministratore locale, al professionista che dovrà decidere o
attuare determinate cose.
Se
i terremoti, le alluvioni non si possono
prevedere, si possono sicuramente limitare i danni e salvaguardare vite umane, città,
borghi e territori con scelte politiche, economiche, di prevenzione e di
salvaguardia ma soprattutto con una presa di coscienza, singola e collettiva che dia vita a un terremoto politico e sociale tanto auspicabile quanto necessario.
Ad maiora
MIZIO