mercoledì 20 agosto 2014

SEMPLICITA', QUESTA SCONOSCIUTA


"La semplicità è compagna della verità."
Francesco De Sanctis


Nel precedente post ho parlato della complicazione come uno degli strumenti del potere per giustificare scelte e legare a sé e al proprio pensiero la maggior parte delle persone smaniose di allinearsi, convincere e convincersi che il mondo non possa essere altro che così.
Oggi voglio spendere due parole su come la complicazione, al pari di un virus ad alta trasmissibilità, abbia infettato, e non poco, quel mondo a sinistra, che istituzionalmente avrebbe dovuto rappresentare un’alternativa al modello capitalista.
All’ inizio, parliamo dei secoli IXX e primi decenni  del XX, la lettura della situazione era semplice e non si faceva fatica a distinguere il giusto dallo sbagliato. Era relativamente facile individuare il nemico o il proprio compagno.
C’erano gli sfruttati e poveri da una parte e c’erano i ricchi sfruttatori dall’altra. Con vari gradi di appartenenza e di situazioni diverse, ma fondamentalmente lo schema era questo ed era naturale, per chi avesse voglia di impegnarsi e schierarsi, capire da che parte stare.
In Italia questa lettura ha dato vita al più grosso fenomeno politico nella sinistra dell’Europa occidentale: il PCI. Grazie alla presenza di personalità di eccellente livello culturale e politico (Gramsci, Togliatti, Berlinguer ecc.), oltre alla presenza e alla lotta contro  un regime fascista che aveva portato l’Italia alla rovina della guerra, il PCI ha rappresentato per oltre 60 anni un’alternativa credibile e un riferimento sicuro per chi fosse critico rispetto il sistema. La forza e le lotte che il Partito, insieme al sindacato, anch’esso chiaramente schierato e non compromesso, costringevano l’avversario a riconoscere la giustezza delle richieste o, a piegarsi ad esse, e hanno portato ad un balzo enorme in avanti della classe operaia in particolare, ma dell’intera società in generale, in termine di diritti e di benessere. Ovviamente non tutto il merito e non tutto era dovuto alla presenza del PCI e delle lotte, ma ad una situazione interna e internazionale, anch’ essa più chiara e definita.


Lo spettro del comunismo ancora s’aggirava per l’Europa e per il mondo e non solo in Italia, grazie alla presenza dell’Unione Sovietica, della Cina, di Cuba e di decine di altri movimenti d’ispirazione marxista in Asia, in America Latina e persino in Africa.
Ma ritornando alle cose di casa nostra negli anni ’70, qualcosa comincia a cambiare, le assemblee, le riunioni cominciano a vedere la sempre più numerosa presenza di studenti e pseudointellettuali traghettatisi nel movimento dal loro mondo borghese, che venivano a portare il verbo alla base operaia, ignorante, per definizione. Cominciò una complessa fase di analisi col microscopio delle parole e delle posizioni espresse e il relativo giudizio di purezza ideologica o meno. Nacquero così i mille, e forse più, partiti e movimenti alla sinistra del PCI, che si ritenevano, a torto o ragione, interpreti migliori e più puri del pensiero marxista, leninista, maoista , zapatista, terzomondista ecc. ecc. Tengo volutamente fuori da quest’ analisi le frange che diedero vita alla stagione del terrorismo, perché meritevoli ben altre e più approfondite analisi.
Ecco allora che il fronte comune dell’alternativa al sistema comincia a mostrare le prime crepe, introducendo all’interno di un dibattito corposo, ricco ma chiaro, elementi di divisione tali da portare molti non riconoscersi più nella rappresentanza del partito.
Questo, unito a presenze organiche che, specialmente dopo l’assassinio di Aldo Moro, presero forza e vigore, lavorarono dall’interno per delegittimare la leadership politica dell’epoca (Berlinguer) e traghettare il PCI, in nome di un "necessario" modernismo verso forme di socialdemocrazia, completarono l’opera (Non finirò mai di ringraziare i cosiddetti Miglioristi per aver contribuito a distruggere un’esperienza unica come quella del PCI, e che, con il Presidente Giorgio Napolitano, oggi, mostrano di che pasta fossero fatti e quali interessi perseguivano).
Quindi ci si trovò a confrontare con una situazione decisamente più complessa in cui l’appartenenza ad un partito e ad un pensiero comunista erano viste quasi  come una vergogna e un limite da parte degli stessi dirigenti che fecero del tutto per svincolarsi da quell’ingombrante eredità arrivando, oggi, a dare vita a tutt’altro in nome della necessità di interpretare una realtà sempre più complessa, ma che a me sembra sempre più una riedizione della vecchia DC con il vantaggio di non essere più pressata e insidiata da nessuna alternativa di sinistra.



Oggi quel poco che rimane della sinistra al di fuori del PD prende la maggior parte dei propri voti in ambienti di livello culturale più elevato mentre è praticamente assente negli ambienti più popolari e di disagio sociale. Quindi non è più vista dal proprio naturale elettorato di riferimento come chi possa rappresentare le proprie problematiche.
Come forse qualcuno sa, io sono iscritto a uno di questi partiti soprattutto per svolgere un’azione a livello locale che tenda a rappresentare e ad unire, almeno territorialmente, la sinistra però mi trovo spesso a disagio nel dover leggere e dover, poi, decodificare i discorsi di troppi nostri dirigenti, affascinanti finchè si vuole, ma prive di quella chiarezza di fondo che ne rende complicata l’interpretazione. Il popolo che la sinistra dovrebbe rappresentare anche all’interno di una situazione molto complessa, ha bisogno per riconoscersi di parole e posizioni chiare non interpretabili o modificabili a soggetto. Ritornare ad essere anche un po’ populisti, nel senso più nobile del termine, non è una cosa di cui vergognarsi, ritrovarsi in piazza a difendere diritti violati o a denunciare ingiustizie anche insieme anche ad altri movimenti dovrebbe ritornare ad essere la norma e non occasione ogni volta per star lì a spaccare il capello in quattro e stabilire se sia opportuno o meno politicamente.
Oggi la cosa che più potrebbe far saltare il banco è proprio quella di spiazzare l’avversario e anche chi ancora si ritiene nostro compagno di viaggio (PD?) con la chiarezza e la semplicità delle scelte, sfilarsi dai giochini e dai trabocchetti tipici di questa politica della seconda repubblica. Si deve ritornare a dissodare i nostri campi che per troppo tempo abbiamo abbandonato alla mercé dei primi venuti.
La lettura della società deve ritornare alla semplicità originaria, pur nella complessità attuale, i poveri sono poveri, gli sfruttati rimangono sfruttati, i ricchi sono ricchi, i padroni sono padroni. Non sono concetti difficili e nemmeno vecchi , forse solo dimenticati perché scomodi e poco gratificanti quando facciamo le nostre esternazioni (più o meno pubbliche) alla ricerca del facile applauso o dell’ammirazione dei (sempre troppo pochi) presenti.
Ritorniamo semplici, che non vuol dire fessi, ritorniamo umili per ascoltare chi ha tutto il diritto di essere ascoltato, ritorniamo a guidare e interpretare il malessere sociale e non solo ad analizzarlo in dotte e approfondite analisi. La migliore analisi è il vivere e condividere il disagio, l’ingiustizia e provare insieme a cambiare.
Troppo semplice? Troppo populista? Forse, ma proviamoci, magari chissà?

Ad maiora


MIZIO 

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