venerdì 14 agosto 2015

FASCISMO? NO GRAZIE!



Negli ultimi tempi grazie alla crisi economica, alla tolleranza dimostrata da istituzioni e forze politiche, ad un qualunquismo e ad un’ignoranza storica alimentata ad arte ci sono forze, associazioni e soprattutto molte persone che si rifanno platealmente e senza infingimenti all’ideologia fascista. Si rimpiange l’ordine dell’epoca contrapposto al caos attuale, si rimpiange l’autarchia materiale e di pensiero si rimpiange l’idea di un uomo solo al comando. Si favoleggia di una grandezza materiale e ideologica persa dall’Italia. Dio patria e famiglia tornano ad essere i valori cardine su cui fondare una nuova società. Quindi fuori tutti e  tutto ciò che in qualche misura rende complessa la convivenza. D’altra parte molti dicono e ripetono che il fascismo tutto sommato è una visione della società come qualsiasi altra e in democrazia tutte le idee devono e possono essere rappresentate. A me questi concetti, espressi spesso anche in buona fede e senza dover ricorre ai principi della nostra Costituzione e all’apologia che è un reato, fanno venire semplicemente l’orticaria. Senza andare troppo nell’analisi del rapporto, ad esempio, tra fascismo e capitale, tra interessi speculativi della grande imprenditoria e dei latifondisti dell’epoca a danno e scapito dei lavoratori e della piccola mezzadria agricola, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti di vita vissuta.
Ovviamente non sono episodi riportati nei libri di storia, fanno parte di quelle narrazioni minori che rimangono nell’ambito delle mura domestiche e che segnano la vita dei singoli e al pari degli episodi di maggiore valenza e impatto mediatico.
Mio nonno Carmine, dopo aver servito la patria nella grande guerra si trasferisce dal piccolo paese alle pendici dell’Aspromonte, nella grande città alla ricerca di fortuna per sé e per i figli che sarebbero venuti. Grazie ai servigi prestati alla patria trova lavoro come impiegato nelle poste dell’epoca. Al tempo non erano moltissimi coloro in grado di saper leggere e scrivere correttamente. Una speranza e  un riconoscimento che lo rendevano orgoglioso e soddisfatto della scelta fatta. Lui socialista combattuto tra interventismo e pacifismo si avvicina al neonato partito Comunista affascinato dalle meravigliose notizie che arrivavano dall’unione Sovietica che, sembravano dimostrare, che il paradiso in terra era possibile anche per i poveri diavoli sfruttati.
In Italia, invece, un altro ex socialista arringava le folle approfittando dell’incapacità delle forze politiche dell’epoca. Il 31 ottobre 1922 Mussolini veniva nominato Capo del Governo.
Da quel momento tutto cambiò. Per i dipendenti pubblici venne resa obbligatoria l’iscrizione al partito fascista.
Ovviamente il buon Carmine non capiva e non volle prenderla ignorando che quella scelta avrebbe segnato la sua vita e quella della sua famiglia. Fu, ovviamente, licenziato e dovette vivere di espedienti e piccoli lavoretti. Lui e sua moglie si dovettero abituare alle irruzioni notturne della milizia alla ricerca di armi e prove inesistenti di attività antifasciste. Cominciò a fare avanti e indietro con il carcere di via Tasso dove veniva tenuto alcuni giorni e sottoposto più volte alla cura dell’olio di ricino e di qualche patriottica manganellata. Si salvò per fortuna e casualmente, per pochi giorni, dall’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Nel frattempo nascevano e crescevano i figli tra cui la seconda, Gioconda, che divenne in seguito  mia madre. Lei e il fratello maggiore Angelo non furono accettati nella scuola pubblica in quanto figli di antifascisti. Dovettero imparare a leggere e scrivere in casa, grazie alla pazienza e alle limitate possibilità dei genitori. Vent’anni di stenti, di ingiustizie, di persecuzioni riscattate dalla partecipazione alla liberazione di Roma e, dopo la fine della guerra, dal poter riprendere il suo lavoro alle Poste. Ma i danni e le cicatrici rimasero a lungo, soprattutto per quei due figli maggiori, rimasti segnati tutta la vita da quegli accadimenti.
Quindi ecco, sinteticamente spiegato, al di là, delle motivazioni etiche, morali o politiche la mia totale e viscerale avversione a qualsiasi riferimento a ideologie fasciste o nostalgiche. Il presunto ordine di quei tempi (in gran parte dovuto alle caratteristiche dell’ epoca) era pagato con la privazione della libertà e il non accesso ai bisogni primari di migliaia di persone. L’emarginazione sociale fin da piccoli, la discriminazione razziale fino ad arrivare ai crimini di guerra sono state le bollette da pagare in nome della retorica dei treni che arrivavano in orario. Tutto questo pone il fascismo al di fuori delle logiche e delle regole della democrazia, quindi, usare la stessa per giustificarne la presenza è perlomeno offensivo e pretestuoso.
Concludo con un invito, rivolto soprattutto ai più giovani, a non giocare e non mitizzare figure e ideologie che rappresentano uno dei punti più bassi della storia dell’umanità e del nostro paese. La rabbia, il risentimento, la ricerca della giustizia non sono mai passate e mai lo potranno, attraverso l’esaltazione di idee fasciste, razziste che trasformano una comprensibile e magari giusta  rivendicazione, in un’istigazione all’odio e alla violenza.
Ad maiora


MIZIO

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