Molti
incidenti stradali sono causati da imprudenza, alta velocità, guida in stato di
ubriachezza o sotto l'effetto di droghe. In base a questo nessuno si sognerebbe
di vietare l'uso della macchina a tutti indiscriminatamente ma si adottano,
giustamente, pene e sanzioni per chi si rende responsabile di tali
comportamenti. Ora, se paragoniamo la democrazia all'automobile e i partiti ai
guidatori, nel sentimento comune oggi, si addossano al mezzo le responsabilità
che non sono proprie. Senza voler ricordare che la Costituzione (la più bella
del mondo che tutti diciamo di voler difendere) attribuisce ai partiti la
titolarità di rappresentare la democrazia dei cittadini, assistiamo ad una
gogna mediatica che, bypassando analisi e responsabilità tutti accomuna in un
unico giudizio che non lascia scampo. I partiti sono vecchi, vanno superati,
sono, corrotti (tutti) immorali, frequentati dagli esemplari peggiori del
delinquere nazionale. Ecco poi, il successo di movimenti che si chiamano fuori
dallo schema classico dei partiti, e,
spesso, anche delle forme democratiche. Con la libertà assoluta di poter dire
tutto e il contrario di tutto data dal loro apparente non schieramento o
appartenenza.
Diciamo
subito che alcuni partiti (guarda caso in genere quelli più votati e
rappresentativi, nulla o poco, hanno
fatto per non essere considerati come covi d'interessi privati più che
pubblici, ma sono stati, comunque, legittimati nel loro operare dalla
democratica espressione di voto. Quindi il problema andrebbe spostato su chi li
ha scelti come propri rappresentanti, in soldoni su tutti noi.
Sappiamo
che il popolo italiano subisce il fascino del pifferaio di Hamelin, dell’uomo
della provvidenza. Badando, in linea di massima, più ad un’esteriorità gestuale
e istrionica del messaggio che ai suoi contenuti, godendo di pancia piuttosto
che di testa. Salvo poi, a fronte dell’evidenza, ricredersi diventandone il più
severo e crudele censore.
Così
sono passati i Mussolini, La Democrazia Cristiana, Craxi, Berlusconi, e
passeranno i Renzi , i Salvini , i Grillo & co.
Quindi
spostare l’attenzione sulla forma partito, minimale e insufficiente secondo
alcuni, esaltando il ruolo dei movimenti (necessari, indispensabili, ma non
alternativi) crea di fatto quel vulnus democratico che lascia spazio alla
disaffezione, alla critica preconcetta, al seguire le maree dell’istant time e
che perdono di vista un’ipotesi complessiva di ordine sociale.
Come
già detto gran parte delle responsabilità non possono essere che addossate a
chi ha permesso per supponenza, superficialità, interesse che tale sentimento
sia stato condiviso da una maggioranza più o meno cosciente e consapevole. Si è
parlato, e si parla molto, di abbandono
del modello novecentesco, come fosse quello lo snodo da cui ha avuto origine il
male. Mentre nella mia lettura meno elaborata e che vola decisamente più bassa,
quell’abbandono repentino, quella rottura improvvisa e traumatica è uno dei
motivi dell’attuale momento di difficoltà.
I
partiti novecenteschi (chiamiamoli così per comodità) oltre una loro visione di
società e di organizzazione della stessa, erano portatori, con la loro presenza
capillare, con le loro strutture consolidate di valori condivisi e
condivisibili e, l' aderenza a quei valori, permetteva loro, ad esempio,
l’espressione di una classe dirigente sentita, sicuramente più vicina e attenta
ai bisogni del proprio popolo. Il cambiamento, che era ovviamente, ed è sempre
necessario, si è basato esclusivamente su un bilancio da cui sono state tenute
fuori alcune voci come la fidelizzazione, l’organizzazione dal basso, la
formazione culturale di una classe dirigente, il mantenimento dell’utopia o del
sogno come motore e stimolo per il coinvolgimento emotivo, tutte cose estranee
in gran parte alla forma movimento e nuova che si vorrebbe alternativa al partito
classico.
Non
a caso coloro che maggiormente rappresentano il legittimo desiderio di
cambiamento, lo stesso lo presentano come rottamazione, riaprendo ogni volta
nuovi capitoli destinati a chiudersi sempre più in fretta basandosi su volti,
nomi, circostanze legate a momenti di respiro corto e poco lungimirante.
Ci
si accapiglia per lo 0,5 % in più o in meno e si trascura il 50% che non
partecipa più, si innescano polemiche infinite su apparentamenti e comunanza d’interessi
legate a specifiche situazioni, dando loro valenza nazionale e assoluta. Si parla
in ambiti sempre più ristretti perché non si ha molto di più della propria
parola da offrire ad una platea, eventualmente, più vasta. Gli obbiettivi
diventano sempre più minimali, limitandosi speso a dichiarazioni d’intenti e a
peculiarità etiche, morali di facile recepimento ma senza ambizioni e disegni
di cambiamento complessivo.
Ogni
cambiamento che voglia avere un respiro ampio e per certi aspetti, rivoluzionario,
deve tenere forzatamente in considerazione anche il percorso pregresso, per
migliorarlo, per renderlo attuale e recepibile anche dalle nuove e meno nuove
generazioni.
Le
fratture traumatiche, il buttare l’acqua sporca col bambino dentro, hanno
forse, creato più danni che benefici. Ci vorrà tempo ma, se riusciamo ad uscire
dal ragionamento minimalista, e a riappropriarci di un’identità visibile e
percepibile ai più con uno sforzo, non dialettico ma d’azione e presenza
continua, riallacciando i fili con le situazioni di marginalità, indirizzando
un sentimento comune di rabbia o rassegnazione verso una speranza di cambiamento
collettivo, forse un ruolo ancora lo potremmo avere.
Partiti e movimenti, ognuno nel proprio ambito e ruolo.
Partiti e movimenti, ognuno nel proprio ambito e ruolo.
Ad
maiora
MIZIO
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