martedì 5 luglio 2016

IL PROBLEMA E' CHI GUIDA!

Molti incidenti stradali sono causati da imprudenza, alta velocità, guida in stato di ubriachezza o sotto l'effetto di droghe. In base a questo nessuno si sognerebbe di vietare l'uso della macchina a tutti indiscriminatamente ma si adottano, giustamente, pene e sanzioni per chi si rende responsabile di tali comportamenti. Ora, se paragoniamo la democrazia all'automobile e i partiti ai guidatori, nel sentimento comune oggi, si addossano al mezzo le responsabilità che non sono proprie. Senza voler ricordare che la Costituzione (la più bella del mondo che tutti diciamo di voler difendere) attribuisce ai partiti la titolarità di rappresentare la democrazia dei cittadini, assistiamo ad una gogna mediatica che, bypassando analisi e responsabilità tutti accomuna in un unico giudizio che non lascia scampo. I partiti sono vecchi, vanno superati, sono, corrotti (tutti) immorali, frequentati dagli esemplari peggiori del delinquere nazionale. Ecco poi, il successo di movimenti che si chiamano fuori dallo schema classico dei partiti,  e, spesso, anche delle forme democratiche. Con la libertà assoluta di poter dire tutto e il contrario di tutto data dal loro apparente non schieramento o appartenenza.
Diciamo subito che alcuni partiti (guarda caso in genere quelli più votati e rappresentativi, nulla  o poco, hanno fatto per non essere considerati come covi d'interessi privati più che pubblici, ma sono stati, comunque, legittimati nel loro operare dalla democratica espressione di voto. Quindi il problema andrebbe spostato su chi li ha scelti come propri rappresentanti, in soldoni su tutti noi.
Sappiamo che il popolo italiano subisce il fascino del pifferaio di Hamelin, dell’uomo della provvidenza. Badando, in linea di massima, più ad un’esteriorità gestuale e istrionica del messaggio che ai suoi contenuti, godendo di pancia piuttosto che di testa. Salvo poi, a fronte dell’evidenza, ricredersi diventandone il più severo e crudele censore.
Così sono passati i Mussolini, La Democrazia Cristiana, Craxi, Berlusconi, e passeranno i Renzi , i Salvini , i Grillo & co.
Quindi spostare l’attenzione sulla forma partito, minimale e insufficiente secondo alcuni, esaltando il ruolo dei movimenti (necessari, indispensabili, ma non alternativi) crea di fatto quel vulnus democratico che lascia spazio alla disaffezione, alla critica preconcetta, al seguire le maree dell’istant time e che perdono di vista un’ipotesi complessiva di ordine sociale.
Come già detto gran parte delle responsabilità non possono essere che addossate a chi ha permesso per supponenza, superficialità, interesse che tale sentimento sia stato condiviso da una maggioranza più o meno cosciente e consapevole. Si è parlato, e si  parla molto, di abbandono del modello novecentesco, come fosse quello lo snodo da cui ha avuto origine il male. Mentre nella mia lettura meno elaborata e che vola decisamente più bassa, quell’abbandono repentino, quella rottura improvvisa e traumatica è uno dei motivi dell’attuale momento di difficoltà.
I partiti novecenteschi (chiamiamoli così per comodità) oltre una loro visione di società e di organizzazione della stessa, erano portatori, con la loro presenza capillare, con le loro strutture consolidate di valori condivisi e condivisibili e, l' aderenza a quei valori, permetteva loro, ad esempio, l’espressione di una classe dirigente sentita, sicuramente più vicina e attenta ai bisogni del proprio popolo. Il cambiamento, che era ovviamente, ed è sempre necessario, si è basato esclusivamente su un bilancio da cui sono state tenute fuori alcune voci come la fidelizzazione, l’organizzazione dal basso, la formazione culturale di una classe dirigente, il mantenimento dell’utopia o del sogno come motore e stimolo per il coinvolgimento emotivo, tutte cose estranee in gran parte alla forma movimento e nuova che si vorrebbe alternativa al partito classico.
Non a caso coloro che maggiormente rappresentano il legittimo desiderio di cambiamento, lo stesso lo presentano come rottamazione, riaprendo ogni volta nuovi capitoli destinati a chiudersi sempre più in fretta basandosi su volti, nomi, circostanze legate a momenti di respiro corto e poco lungimirante.
Ci si accapiglia per lo 0,5 % in più o in meno e si trascura il 50% che non partecipa più, si innescano polemiche infinite su apparentamenti e comunanza d’interessi legate a specifiche situazioni, dando loro valenza nazionale e assoluta. Si parla in ambiti sempre più ristretti perché non si ha molto di più della propria parola da offrire ad una platea, eventualmente, più vasta. Gli obbiettivi diventano sempre più minimali, limitandosi speso a dichiarazioni d’intenti e a peculiarità etiche, morali di facile recepimento ma senza ambizioni e disegni di cambiamento complessivo.
Ogni cambiamento che voglia avere un respiro ampio e per certi aspetti, rivoluzionario, deve tenere forzatamente in considerazione anche il percorso pregresso, per migliorarlo, per renderlo attuale e recepibile anche dalle nuove e meno nuove generazioni.
Le fratture traumatiche, il buttare l’acqua sporca col bambino dentro, hanno forse, creato più danni che benefici. Ci vorrà tempo ma, se riusciamo ad uscire dal ragionamento minimalista, e a riappropriarci di un’identità visibile e percepibile ai più con uno sforzo, non dialettico ma d’azione e presenza continua, riallacciando i fili con le situazioni di marginalità, indirizzando un sentimento comune di rabbia o rassegnazione verso una speranza di cambiamento collettivo, forse un ruolo ancora lo potremmo avere. 
Partiti e movimenti, ognuno nel proprio ambito e ruolo.
Ad maiora


MIZIO

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