Una
magistrale inchiesta di Franco Fracassi svela l'intreccio dei nomi che svernano
all'ombra di Renzi. E c'è poco da stare allegri perchè, tra questi, ve ne sono
di terribilmente inquietanti.
Quando
negli anni Ottanta Michael Ledeen varcava l'ingresso del dipartimento di Stato,
al numero 2401 di E Street, chiunque avesse dimestichezza con il potere di
Washington sapeva che si trattava di una finta. Quello, per lo storico di Los
Angeles, rappresentava solo un impiego di facciata, per nascondere il suo reale
lavoro: consulente strategico per la Cia e per la Casa Bianca. Ledeen è stato
la mente della strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è
stato la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del
Sismi negli anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della
guerra al terrore promossa dall'Amministrazione Bush, oltre che teorico della
guerra all'Iraq e della potenziale guerra all'Iran, è stato uno dei consulenti
del ministero degli Esteri israeliano.
Oggi
Michael Ledeen è una delle menti della politica estera del segretario del
Partito democratico Matteo Renzi. Forse è stato anche per garantirsi la futura
collaborazione di Ledeen che l'allora presidente della Provincia di Firenze si
è recato nel 2007 al dipartimento di Stato Usa per un inspiegabile tour. Non è
un caso che il segretario di Stato Usa John Kerry abbia più volte espresso
giudizi favorevoli nei confronti di Renzi. Ma sono principalmente i neocon ad
appoggiare Renzi dagli Stati Uniti. Secondo il "New York Post",
ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra
repubblicana, legati alle lobby pro Israele e pro Arabia Saudita. In questa
direzione vanno anche il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo
principale consulente politico, Marco Carrai, entrambi molti vicini a Israele.
Carrai ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di venture
capital e nuove tecnologie. Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè ha
forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures e, il
cui padre, Franco, fino a pochi anni fa è stato arcigno custode delle dorsali
telefoniche mediterranee che collegano l'Italia a Israele.
Forse
aveva ragione l'ultimo cassiere dei Ds, Ugo Sposetti, quando disse: «Dietro i
finanziamenti milionari a Renzi c'è Israele e la destra americana». O perfino
Massimo D'Alema, che definì Renzi il terminale di «quei poteri forti che
vogliono liquidare la sinistra». Dietro Renzi ci sono anche i poteri forti
economici, a partire dalla Morgan Stanley, una delle banche d'affari
responsabile della crisi mondiale. Davide Serra entrò in Morgan Stanley nel
2001, e fece subito carriera, scalando posizioni su posizioni, in un quinquennio
che lo condusse a diventare direttore generale e capo degli analisti bancari.
La carriera del
giovane broker italiano venne punteggiata di premi e riconoscimenti per le sue
abilità di valutazione dei mercati. In quegli anni trascorsi dentro il gruppo
statunitense, Serra iniziò a frequentare anche i grandi nomi del mondo bancario
italiano, da Matteo Arpe (che ancora era in Capitalia) ad Alessandro Profumo
(Unicredit), passando per l'allora gran capo di Intesa-San Paolo Corrado
Passera. Nel 2006 Serra decise tuttavia che era il momento di spiccare il volo.
E con il francese Eric Halet lanciò Algebris Investments.
Già nel primo anno
Algebris passò da circa settecento milioni a quasi due miliardi di dollari
gestiti.
L'anno
successivo Serra, con il suo hedge fund, lanciò l'attacco al colosso bancario
olandese Abn Amro, compiendo la più importante scalata bancaria d'ogni tempo.
Poi fu il turno del banchiere francese Antoine Bernheim a essere fatto fuori da
Serra dalla presidenza di Generali, permettendo al rampante finanziere di
mettere un piede in Mediobanca.
Definito
dall'ex segretario Pd Pier Luigi Bersani «il bandito delle Cayman», Serra oggi
ha quarantatré anni, vive nel più lussuoso quartiere di Londra (Mayfair), fa
miliardi a palate scommettendo sui ribassi in Borsa (ovvero sulla crisi) ed è
il principale consulente finanziario di Renzi, nonché suo grande raccoglietore
di denaro, attraverso cene organizzate da Algebris e dalla sua fondazione
Metropolis. E così, nell'ultimo anno il gotha dell'industria e della finanza
italiane si sono schierati uno a uno dalla parte di Renzi. A cominciare da
Fedele Confalonieri che, riferendosi al sindaco di Firenze, disse: «Non saranno
i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a
succedere a Berlusconi, sarà un giovane». Poi venne Carlo De Benedetti, con il
suo potentissimo gruppo editoriale Espresso-Repubblica («I partiti hanno
perduto il contatto con la gente, lui invece quel contatto ce l'ha»). E ancora,
Diego Della Valle, il numero uno di Vodafone Vittorio Colao, il fondatore di
Luxottica Leonardo Del Vecchio e l'amministratore delegato Andrea Guerra, il
presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera con la moglie Afef, l'ex
direttore di Canale 5 Giorgio Gori, il patron di Eataly Oscar Farinetti,
Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Romiti, Martina Mondadori, Barbara
Berlusconi, i banchieri Fabrizio Palenzona e Claudio Costamagna, il numero uno
di Assolombarda Gianfelice Rocca, il patron di Lega Coop Giuliano Poletti,
Patrizio Bertelli di Prada, Fabrizio Palenzona di Unicredit, Il Monte dei
Paschi di Siena, attraverso il controllo della Fondazione Montepaschi gestita
dal renziano sindaco di Siena Bruno Valentini, e, soprattutto, l'amministratore
delegato di Mediobanca Albert Nagel, erede di Cuccia nell'istituto di credito.
Proprio
sul giornale controllato da Mediobanca, "Il Corriere della Sera", da
sempre schierato dalla parte dei poteri forti, è arrivato lo scoop su Monti e
Napolitano, sui governi tecnici. Il Corriere ha ripreso alcuni passaggi
dell'ultimo libro di Alan Friedman, altro uomo Rcs. Lo scoop ha colpito a fondo
il governo Letta e aperto la strada di Palazzo Chigi a Renzi. Il defunto
segretario del Psi Bettino Craxi diceva: «Guarda come si muove il Corriere e
capirai dove si va a parare nella politica». Gad Lerner ha, più recentemente,
detto: «Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati,
né le mille voci del Quinto Stato dei precari all'italiana. Lui (Renzi) vuole
impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience».