lunedì 23 gennaio 2012

E VENNE L' ORA DELL'ART.18....



Il piano Fornero e le alternative dopo l’uscita di Monti
Mario Monti l’ha ribadito ieri pomeriggio durante l’intervista con Lucia Annunziata: l’articolo 18 non è un tabù. E questa settimana il governo affronterà il tema più spinoso tra quelli che finora ha messo sul tavolo: la riforma del mercato del lavoro. Mentre i sindacati già scaldano i motori della protesta, il Corriere ci racconta quali sono le proposte sul tavolo del ministro Fornero, partendo da quella ‘a costo zero’ del duo Boeri-Garibaldi:
La riforma del mercato del lavoro proposta da Tito Boeri e Pietro Garibaldi si caratterizza per essere a costo zero, perché è rivolta a tutti (non solo ai giovani) e perché prevede sin da subito un contratto a tempo indeterminato anche se per i primi tre anni viene sospesa quella parte dell’articolo 18 che prevede il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa. Il meccanismo di base di questa proposta, presentata in Senato un anno fa e firmata anche da Franco Marini e Paolo Nerozzi, prevede che nei primi tre anni le tutele crescano gradualmente con la durata dell’impiego fino a rendere oneroso il licenziamento: alla fine del triennio l’imprenditore che decide di liberarsi del dipendente g l i deve r i c o n o s c e r e 6 mensilità. Se lo conferma, automaticamente si estendono tutti i diritti previsti dall’articolo 18. Questo contratto, che vale solo per i nuovi assunti, diventa «unico» ma non prevede l’abolizione di altri contratti. Solo, li rende meno convenienti. Per esempio quelli a tempo determinato (stagionali esclusi) si trasformano automaticamente nell’«unico» se la paga annua è inferiore a 25 mila euro lordi che salgono a 30 mila nel caso dei parasubordinati con monocommissione (esclusi praticanti negli studi dei professionisti). Nel disegno di legge è contemplato anche un salario orario minimo garantito, che un’apposita commissione dovrà individuare. Volutamente nella proposta Boeri-Garibaldi non ci sono riferimenti alla riforma degli ammortizzatori sociali con l’indennità di disoccupazione per tutti. La decisione si spiega con la filosofia di base con la quale è stata progettata la proposta: quella del «costo zero». Le risorse sono quelle che sono e, come si legge nel loro libro Riforme a costo zero, «le agevolazioni fiscali nel mondo del lavoro hanno sempre creato distorsioni del mercato».

Poi c’è il modello danese, la flexicurity:
Il modello del giuslavorista Pietro Ichino, proposto in un disegno di legge presentato al Senato nel 2009, si basa sul concetto di «flexicurity». I lavoratori, tutti non solo i giovani, accettano un contratto di lavoro a tempo indeterminato ma reso più flessibile con una tecnica di protezione della stabilità diversa da quella attuale. Al termine di un periodo di prova di sei mesi, il lavoratore viene assuntoma perde la protezione totale dell’attuale articolo 18: solo nel caso di licenziamenti per motivi economici od organizzativi (non quelli indiscriminati) il lavoratore incassa un’indennità che può arrivare fino a un massimo di 18 mesi di stipendio. Contestualmente viene creata una assicurazione complementare contro la disoccupazione (oltre agli attuali strumenti) che porta l’assegno del senza lavoro a un livello paragonabile a quelli scandinavi. La durata è pari al rapporto intercorso con l’impresa con un limite massimo di tre anni e una copertura iniziale del 90% dell’ultima retribuzione decrescente nei successivi due anni fino al 70%. La condizione per mantenere questo sussidio è che il lavoratore non si rifiuti di accettare le attività mirate alla riqualificazione professionale e alla rioccupazione. Le imprese si accolleranno il costo dell’assicurazione e dei servizi collegati, affidati a enti bilaterali costituiti di comune accordo con i sindacati, il cui costo medio complessivo Ichino lo stima in circa 0,5% del monte salari. Il principio di base è che più rapida è la ricollocazione del lavoratori più basso è il costo del sostegno a carico delle imprese. La proposta Ichino è stata finora apprezzata dall’ex leader del Pd, Walter Veltroni, e dall’ex responsabile economia Enrico Morando ma respinta da Bersani e Fassina. La proposta di legge è stata firmata anche da esponenti del Pdl e ha trovato condivisioni in Confindustria.

 


Infine c’è l’apprendistato:
L’apprendistato sembra al momento lo strumento più idoneo per affrontare senza tanti stravolgimenti normativi il problema della disoccupazione giovanile. Sul suo rafforzamento e maggiore estensione per renderlo davvero fruibile a tutte le categorie di lavoratori c’è il sostanziale accordo dei sindacati e anche della Confindustria. Anche perché affronta inmodo semplice la questione dell’articolo 18, prevedendone una sostanziale sospensione nei primi tre anni di lavoro-formazione- prova. L’apprendistato nella sua formula originaria è nato nel ’55 e ha avuto sei successivi adeguamenti normativi, l’ultimo nel dicembre 2007. Si rivolge ai giovani tra i 16 e i 29 anni di età. Il rapporto di lavoro concepito con questo strumento dalle parti sociali è di «tipo misto», visto che si prevede l’onere per il datore di lavoro di una effettiva formazione professionale, sia mediante il trasferimento di competenze tecnico-scientifiche sia mediante l’affiancamento pratico per l’apprendimento di abilità operative. L’assunzione di apprendisti richiede la stipula di un contratto di lavoro in forma scritta con allegato il Piano formativo individuale, mentre il numero degli apprendisti assunti non può superare quello dei lavoratori dipendenti qualificati effettivi. Attualmente i contratti collettivi determinano la durata del rapporto di apprendistato, comunque per legge non inferiore a due anni e non superiore a sei. Nello schema dei sindacati, per costruire su questo impianto normativo quello più adatto ad affrontare il tema della disoccupazione giovanile, occorre rendere più appetibile lo strumento introducendo dei forti bonus fiscali e contributivi. Come la proposta Ichino, anche l’apprendistato ha dunque un costo e, per le imprese, una certa controindicazione perché riconosce ai sindacati un forte potere nello stabilire la durata del periodo di formazione
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