sabato 7 aprile 2012

L'UNICA OPZIONE? POVERTA'


povertà 20120406

Quasi sei mesi dopo la fine dell'era Berlusconi – che ho perlomeno la piccola soddisfazione morale di non aver festeggiato avendo capito fin troppo in fretta cosa sarebbe venuto dopo –, avvenimento dopo il quale non è passato giorno senza che sempre nuove picconate venissero a smantellare quel po' che rimaneva delle nostre antiche certezze socio-economiche (la sicurezza del posto di lavoro, il diritto allo sciopero, un reddito sufficiente a una vita decorosa), è venuto il momento di tirare le fila e farsi qualche domanda e più precisamente: che fine faremo? E chi ci guadagnerà?
Che fine faremo pare ormai abbastanza ovvio. Le chiusure di stabilimenti produttivi, ognuna delle quali causa centinaia di nuovi disoccupati in un colpo solo, sono all'ordine del giorno e solitamente non sono (ancora) provocate dalla mancanza di mercato, ma dalla fame di lucro degli imprenditori che portano la produzione in Paesi dove il lavoro costa meno che qui; appena la riforma del lavoro entrerà in vigore (faccio notare che l'altro giorno i mezzi di comunicazione la definivano “varata” prima ancora che approdasse in Parlamento, un lapsus che la dice lunga sullo stato della nostra cosiddetta democrazia) il tracollo al riguardo sarà completo e peggio che mai andranno le cose quando la possibilità di licenziare quasi senza colpo ferire verrà estesa al pubblico impiego, dove si prevedono masse di espulsi com'è già accaduto in Grecia; i redditi reali sono sempre più miseri, assediati come sono dal costante aumento dei prezzi, dalla mancanza di rinnovi contrattuali o di adeguamento all'inflazione come nel caso delle pensioni e dal calare di una mannaia fiscale come raramente si era vista prima: in particolare l'IMU, l'erede dell'ICI, promette di ammazzare il mercato immobiliare e di privare dell'unico riparo dalla crisi milioni di persone che, avendo perso il lavoro, non potranno più permettersi nemmeno il tetto sopra la testa, acquistato dopo decenni di sacrifici e considerato fino a poco tempo fa una garanzia contro i tempi grami della vita, specie la vecchiaia; e delle prospettive che si profilano per questa, dopo il vergognoso ladrocinio delle pensioni così come sono state rinnovare, non è nemmeno il caso di parlare. I suicidi per ambasce economiche sono ormai cronaca quotidiana.
Per riassumere tutto questo basta una parola: povertà. Una società immiserita e ridotta al collasso nel giro di pochissimo, come appunto già sta accadendo in lande europee che ci sono vicine geograficamente e non solo. Tralasciando il lato umano e concentrandosi solo su quello economico questo significa una cosa sola: recessione, crollo dei consumi, mercati a terra. Non è paradossale che un sistema basato sul consumismo stia pilotando consapevolmente le cose in questa direzione? Non sta segando il ramo su cui è seduto?
Non necessariamente, dal momento che l'equazione “meno soldi in circolazione = sofferenza anche dei produttori” è semplicistica. Vale certamente per la piccola e media industria, non per niente è proprio tra le fila dei suoi rappresentanti che hanno luogo molti dei suicidi di cui sopra: ma non è certo questo il capitale che decide i destini del mondo. È quello globalizzato, quello delle eminenze grige nascoste dietro il finto apparato rappresentativo dell'Unione Europea, tanto per fare un esempio, quello di multinazionali capaci davvero di decidere a tavolino i destini di decine di milioni di persone per il proprio tornaconto.
Ecco, a costoro un'Italia indigente farà molto comodo. Costituirà un immenso serbatoio di manodopera disperata e quindi pronta a lavorare molto in cambio di poco denaro e quasi nessun diritto, esattamente come finora è accaduto in Cina dove al contrario pare che le cose si muovano lentamente in senso contrario. E questo per un semplicissimo motivo: che, mentre l'Italia (come l'Europa tutta, come gli Stati Uniti) è un “mercato maturo”, cioè ormai alla frutta, spremuto, sfruttato fin dove era possibile, dov'è ormai sempre più difficile piazzare paccottiglia di ogni genere in quantità bastevole a garantire una crescita del PIL a due cifre, la Cina è una terra ancora quasi vergine da questo punto di vista e con lei l'India e numerosi altri Paesi emergenti.
Ora il giochetto di consentire alla gente un livello di vita più confortevole e magari qualche pseudo diritto per un paio di generazioni (ma forse meno, dato che ormai tutto va a un ritmo molto più accelerato), cioè fino a quando c'è ancora possibilità di vendere, lo si farà lì, ma per farlo serve che qualcun altro da qualche altra parte produca a poco prezzo, dato che per qualche tempo nei posti appena citati il costo del lavoro salirà, altrimenti la gente non avrà abbastanza soldi da far diventare ciò che finora è stato appannaggio di un'élite beni di consumo di massa. E quell'altra parte, adesso, stiamo diventando noi e la Grecia e la Spagna e tra poco magari anche la Francia.
Altrimenti come si spiegherebbe che Monti, a riforma del lavoro nemmeno ancora finita di scrivere, si è precipitato in Oriente a porgere su un vassoio d'oro il culo di questo Paese perché lorsignori sapessero di potersi finalmente servire, ovverosia, come ha detto lui più elegantemente, “pensare finalmente di investire qui”? Qualcuno è così ingenuo da pensare che industriali cinesi abituati a lavoratori che sgobbano 16 ore il giorno per una paga da fame abbiano in animo di venire a rilevare stabilimenti in cui mantenere lo stile di vita che si è condotto finora?
E di certo non dispiacerà loro nemmeno trovarsi di fronte a un mercato immobiliare schiantato da un'imposta sugli immobili che costringerà tantissimi a sbarazzarsi velocemente di case che ormai non possono più permettersi e che potranno essere ramazzate a decine per volta come le fiche su un tavolo da gioco. Ricordiamo a questo punto che l'Italia ha ancora, a dispetto degli scempi inflitti in materia da speculatori e amministratori ignobili, un ragguardevole patrimonio culturale e ambientale e soprattutto trasmette ancora, a torto o a ragione, il fascino di essere il Paese più bello del mondo.Ora, dove pensate che i Comuni si orienteranno su aliquote IMU più alte? Certamente nei centri storici delle città più prestigiose e celebri, per tacer poi delle più rinomate località turistiche che abbondano di seconde case sulle quali si infierirà senza pietà, ed ecco trovato un eccellente e assai remunerativo modo di investire dalle nostre parti: si compra un ameno borgo toscano (un posto a caso), lo si ristruttura, lo si allestisce in modo che incontri il gusto dei nuovi ricchi con gli occhi a mandorla, lo si dota esclusivamente dei servizi utili alla bisogna come ristoranti, piscine e altri luoghi di sollazzo, tanto nessuna persona vera ci vivrà mai più, e ci si fa soldi a palate affittandolo. Un giorno mi trovavo in un paesino della Provenza con una coppia di amici di Marsiglia: il luogo era incantevole e io non finivo di produrmi in esclamazioni di apprezzamento, ma loro, con l'aria mesta di chi sa come stiano davvero le cose, mi dissero che lì era tutto finto. Solo appartamenti e strutture per villeggianti, nessuno poteva più permettersi di abitarci, e tutto di proprietà di stranieri che ci avevano investito per speculare sull'attrattiva dei paraggi. Perché qui dovrebbe andare diversamente?
C'è poi un altro modo ancora per trasformare un Paese allo stremo in una miniera d'oro: si chiamacaptive demand, letteralmente la richiesta del prigioniero, e grosso modo funziona così. Man mano che avanza l'impoverimento diminuiscono le vendite di tutto ciò che è superfluo o perlomeno non strettamente necessario alla vita quotidiana: auto e benzina da metterci dentro, vacanze, vestiti alla moda, carabattole tecnologiche e via dicendo e questo è qualcosa che possiamo cominciare a notare già adesso. Ma esistono dei beni e dei servizi fondamentali, la cui domanda viene definita anelastica, cioè poco tendente a contrarsi all'aumentare del prezzo che comunque finora è stato calmierato dal fatto che questi beni e questi servizi erano forniti dallo Stato, dagli Enti locali o da aziende a capitale pubblico: acqua (faccio notare che si sta facendo di tutto per inficiare il risultato delreferendum dello scorso anno con cui i cittadini si sono pronunciati contro la privatizzazione), energia elettrica (faccio notare che da un giorno all'altro è aumentata del 10%), gas per riscaldamento (sottoposto come la benzina ad accise sempre crescenti), scuola, servizi per l'infanzia, sanità, trasporti e via dicendo. Ebbene, il gioco è molto semplice: basta completare l'opera di smantellamento della presenza del settore pubblico – la necessità di contenere la spesa “perché ce lo chiede l'Europa” dato l'indebitamento del Paese offre una splendida scusa per farlo - in questi àmbiti trasferendo la proprietà a voraci multinazionali che, una volta diventate padrone del tutto, alzeranno i prezzi a loro piacimento e godranno di faraoniche rendite di posizione.
Comunque tranquilli, alla fine non tutti gli italiani ci rimetteranno. Per esempio Marchionne che ora si lamenta ad alta voce di non battere più chiodo quaggiù a me pare stia recitando un copione scritto da tempo: lui sa benissimo che, messo com'è il Paese, i suoi gioielli di tecnologia rimarranno in sempre maggior numero ad ammuffire nelle concessionarie, ma è esattamente quello che voleva per potersene andare – o far finta di farlo – e aspettare comodo e tranquillo che la nuova legge sul lavoro (da lui inaugurata già un annetto fa proprio alla FIAT) faccia i suoi effetti e poi tornare, anche lui travestito da salvatore della Patria, a “portare lavoro”. A quel punto non farà più la manfrina di lamentarsi che qui non si vende, quello sarà ovvio, l'importante sarà produrre per un tozzo di pane e poi “aggredire nuovi mercati” (che comunque quando vedranno la qualità di ciò che propone verosimilmente aggrediranno lui cacciandolo a calci). Del resto la premiata associazione a delinquere Monti & Fornero non si è forse affrettata a commentare che con le prodigiose modifiche alla legge sul lavoro gli imprenditori italiani non andranno più (“perlomeno non tutti”) a far fare le calze in Serbia? Come mai, verrà loro improvvisamente un attacco di patriottismo?
Ed ecco dimostrato che ammazzare un Paese al capitale serve eccome. A tutti gli altri, no, rovinerà solo la vita e ognuno reagirà come potrà: qualcuno soccomberà, qualcuno riuscirà a infilarsi nelle maglie del nuovo sistema e a trarne un suo vantaggio, molti probabilmente penseranno di cercare rifugio altrove e, posto che trovino ancora un angolo di mondo immune dall'andazzo, saranno respinti oppure mandati a fare quello che i locali non vogliono più fare per quattro soldi. Così ricomincerà il ciclo che ci ha portati fin qui. di Giuliana Cupi

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