Diceva Gianni Rodari, il noto giornalista e
scrittore italiano: “Nel Paese della bugia, la verità è una malattia”.
Una malattia sì, di quelle di cui vorresti
liberarti ad ogni costo, sacrificando proprio tutto e tutti.
Spesso incappiamo nell'errore di affermare
che le Istituzioni e buona parte della politica siano indifferenti rispetto
alla verità. Non si tratta di indifferenza, altrimenti non si spiegherebbe lo
sterminato uso di tutti i mezzi possibili per impedire l'accertamento della
verità.
No, la politica sta pregiudizialmente ed
egoisticamente dalla parte della bugia, perché spera che questa possa
consegnare all'oblio le scomode verità che costringerebbero lo Stato a
nascondersi dietro un cumulo di vergogna per sempre, perché la verità “è tanto
più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta”, come scriveva
Anna Frank nel suo diario.
Se si pongono degli ostacoli sulla già
tortuosa strada dell'accertamento della verità, la stessa continuerà a restare
sospesa tra il silenzio e l'abbandono e le cose, per quanto possibile, non
cambieranno.
Ora, chi ha delle cose da nascondere, chi
conserva nell'armadio scheletri ancora intatti, non può che adoperarsi per
contrastare chi, con non pochi sacrifici personali e professionali, sta
indagando su determinate verità che faticano a venire fuori.
Verità che riguardano la vergognosa (e non
più “presunta”) trattativa tra lo Stato e la mafia, che vede evidentemente
coinvolti pezzi grossi e intoccabili di questo nostro disgraziato Paese.
Le indagini sulla trattativa sono coordinate
dalla Procura di Palermo, che, per l'appunto, è vittima prediletta delle
infamanti dichiarazioni di politici, giornalisti e membri della magistratura e
del Csm.
Primo tra tutti Antonio Ingroia, uno dei
magistrati più criticati e osteggiati della storia del nostro Paese, secondo
forse solo a Giovanni Falcone.
Contro di lui, accuse ignobili e calunniose,
minacce, provvedimenti disciplinari, parole offensive pronunciate in pompa
magna. Ultima in ordine di tempo, l'uscita dell'onorevole Calogero Mannino
(rinviato a giudizio proprio dalla Procura di Palermo per la trattativa
Stato-mafia), che definisce Ingroia un “politico” che tiene nel suo ufficio la
foto di Che Guevara.
Al di là delle accuse pretestuose e
delegittimanti, e della totale infondatezza delle insinuazioni di Mannino, mi
chiedo la foto chi, Antonio Ingroia, debba tenere nel suo ufficio.
Del Presidente Napolitano, forse? Quello che
parla al telefono con Nicola Mancino; quello che ha sonnecchiato per tanto
tempo mentre Berlusconi faceva approvare leggi bavaglio, scudi fiscali e i vari
“lodo Alfano” e che ora si sveglia dopo un lungo letargo chiedendo una legge
che regolamenti le intercettazioni telefoniche (chissà perché?!) e sollevando,
presso la Corte costituzionale, un conflitto di attribuzione contro la Procura
di Palermo; quello che, in qualità di Presidente del Consiglio superiore della
magistratura, permette che si metta il bavaglio ad un magistrato assolutamente
integerrimo come Roberto Scarpinato?
E sì perché, fatto fuori Ingroia (che a
settembre accetterà un incarico dell'Onu in Guatemala), bisogna mettere a
tacere anche gli altri, finché l'accertamento della verità non diventerà solo
uno sterile miraggio.
Nei giorni scorsi, la Prima commissione del
Csm, per iniziativa del membro laico Pdl Nicolò Zanon (per inciso, lo stesso
che impedì, nel gennaio scorso, la votazione della pratica a tutela del pm
Fabio De Pasquale, il “famigerato” del caso Mills, di fronte ad attacchi
gravissimi dell'allora presidente del Consiglio), ha aperto un fascicolo per il
trasferimento d'ufficio del Procuratore generale di Caltanissetta, a seguito di
incompatibilità ambientale sulla base di una lettera che Scarpinato ha scritto
a Paolo Borsellino nel giorno dell'anniversario della sua morte, in via
D'Amelio.
“Stringe il cuore a vedere talora tra le
prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta
di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di
legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere;” ha detto il pg di
Caltanissetta, “personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite –
per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu
tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.”
E ancora: “Hanno fatto sparire la tua agenda
rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu
avevi capito. [...] Ma nonostante siano ancora forti e potenti,
cominciano ad avere paura. Le loro notti si fanno sempre più insonni e
angosciose, perché [...] sanno che uno di questi giorni alla porta dei loro
lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni
avete dedicato le vostre vite e la vostra morte. E sanno che quel giorno
saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di
calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro
viltà dinanzi alla Nazione.”
L'apertura
di quest'ennesimo fascicolo da parte del Csm nei confronti dei
magistrati che ricercano la verità sulle stragi e sulla trattativa, è un
ulteriore attentato alla libertà d'espressione che va via via isterilendosi in
questo Paese e la certificazione di come si voglia impedire che qualcuno arrivi
a conoscere la verità.
Dopo le polemiche sul “partigiano della
Costituzione” Ingroia, arrivano ora quelle sui “sepolcri imbiancati” di
Scarpinato.
Chi sarà il prossimo?
Intanto il Colle, addolorato per la morte di
Loris D'Ambrosio, il tramite delle conversazioni tra Napolitano e Mancino, si
scaglia già contro magistratura e giornali: “Atroce e' il mio rammarico per una
campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni
ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto”, ha detto Napolitano
riferendosi al suo consulente giuridico, mentre la Santanché è stata molto più
diretta: “I pm hanno fatto un altro morto. Fermiamoli”. Domani i giornali
additeranno Ingroia&Co. come “assassini”.
Frattanto, l'unico che poteva dirci qualcosa
sui “rapporti” tra Napolitano e Mancino, è morto. Arresto cardiaco.
di Serena Verrecchia
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