martedì 4 settembre 2012

NEL PAESE DELLA BUGIA, LA VERITA' E' UNA MALATTIA




Diceva Gianni Rodari, il noto giornalista e scrittore italiano: “Nel Paese della bugia, la verità è una malattia”.


Una malattia sì, di quelle di cui vorresti liberarti ad ogni costo, sacrificando proprio tutto e tutti.
Spesso incappiamo nell'errore di affermare che le Istituzioni e buona parte della politica siano indifferenti rispetto alla verità. Non si tratta di indifferenza, altrimenti non si spiegherebbe lo sterminato uso di tutti i mezzi possibili per impedire l'accertamento della verità.
No, la politica sta pregiudizialmente ed egoisticamente dalla parte della bugia, perché spera che questa possa consegnare all'oblio le scomode verità che costringerebbero lo Stato a nascondersi dietro un cumulo di vergogna per sempre, perché la verità “è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta”, come scriveva Anna Frank nel suo diario.
Se si pongono degli ostacoli sulla già tortuosa strada dell'accertamento della verità, la stessa continuerà a restare sospesa tra il silenzio e l'abbandono e le cose, per quanto possibile, non cambieranno.
Ora, chi ha delle cose da nascondere, chi conserva nell'armadio scheletri ancora intatti, non può che adoperarsi per contrastare chi, con non pochi sacrifici personali e professionali, sta indagando su determinate verità che faticano a venire fuori.
Verità che riguardano la vergognosa (e non più “presunta”) trattativa tra lo Stato e la mafia, che vede evidentemente coinvolti pezzi grossi e intoccabili di questo nostro disgraziato Paese.
Le indagini sulla trattativa sono coordinate dalla Procura di Palermo, che, per l'appunto, è vittima prediletta delle infamanti dichiarazioni di politici, giornalisti e membri della magistratura e del Csm.
Primo tra tutti Antonio Ingroia, uno dei magistrati più criticati e osteggiati della storia del nostro Paese, secondo forse solo a Giovanni Falcone.
Contro di lui, accuse ignobili e calunniose, minacce, provvedimenti disciplinari, parole offensive pronunciate in pompa magna. Ultima in ordine di tempo, l'uscita dell'onorevole Calogero Mannino (rinviato a giudizio proprio dalla Procura di Palermo per la trattativa Stato-mafia), che definisce Ingroia un “politico” che tiene nel suo ufficio la foto di Che Guevara.
Al di là delle accuse pretestuose e delegittimanti, e della totale infondatezza delle insinuazioni di Mannino, mi chiedo la foto chi, Antonio Ingroia, debba tenere nel suo ufficio.
Del Presidente Napolitano, forse? Quello che parla al telefono con Nicola Mancino; quello che ha sonnecchiato per tanto tempo mentre Berlusconi faceva approvare leggi bavaglio, scudi fiscali e i vari “lodo Alfano” e che ora si sveglia dopo un lungo letargo chiedendo una legge che regolamenti le intercettazioni telefoniche (chissà perché?!) e sollevando, presso la Corte costituzionale, un conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo; quello che, in qualità di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, permette che si metta il bavaglio ad un magistrato assolutamente integerrimo come Roberto Scarpinato?
E sì perché, fatto fuori Ingroia (che a settembre accetterà un incarico dell'Onu in Guatemala), bisogna mettere a tacere anche gli altri, finché l'accertamento della verità non diventerà solo uno sterile miraggio.
Nei giorni scorsi, la Prima commissione del Csm, per iniziativa del membro laico Pdl Nicolò Zanon (per inciso, lo stesso che impedì, nel gennaio scorso, la votazione della pratica a tutela del pm Fabio De Pasquale, il “famigerato” del caso Mills, di fronte ad attacchi gravissimi dell'allora presidente del Consiglio), ha aperto un fascicolo per il trasferimento d'ufficio del Procuratore generale di Caltanissetta, a seguito di incompatibilità ambientale sulla base di una lettera che Scarpinato ha scritto a Paolo Borsellino nel giorno dell'anniversario della sua morte, in via D'Amelio.
“Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere;” ha detto il pg di Caltanissetta, “personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.”
E ancora: “Hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.  [...]  Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura. Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché [...] sanno che uno di questi giorni alla porta dei loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte. E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.”
L'apertura  di quest'ennesimo fascicolo da parte del Csm nei confronti dei magistrati che ricercano la verità sulle stragi e sulla trattativa, è un ulteriore attentato alla libertà d'espressione che va via via isterilendosi in questo Paese e la certificazione di come si voglia impedire che qualcuno arrivi a conoscere la verità.
Dopo le polemiche sul “partigiano della Costituzione” Ingroia, arrivano ora quelle sui “sepolcri imbiancati” di Scarpinato.
Chi sarà il prossimo?
Intanto il Colle, addolorato per la morte di Loris D'Ambrosio, il tramite delle conversazioni tra Napolitano e Mancino, si scaglia già contro magistratura e giornali: “Atroce e' il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto”, ha detto Napolitano riferendosi al suo consulente giuridico, mentre la Santanché è stata molto più diretta: “I pm hanno fatto un altro morto. Fermiamoli”. Domani i giornali additeranno Ingroia&Co. come “assassini”.
Frattanto, l'unico che poteva dirci qualcosa sui “rapporti” tra Napolitano e Mancino, è morto. Arresto cardiaco.
di Serena Verrecchia


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