Vivere
protetti dalla contaminazione e far parte di un sistema economico rispettoso di
salute e ambiente sono argomenti divenuti finalmente un obiettivo culturalmente
condiviso piuttosto importante. Le conseguenze del danno ambientale complessivo
stanno divenendo visibili e inconfutabili e far finta di nulla equivale oggi,
per tutti, a condurre l’umanità verso il baratro. Col trascorrere degli anni si
sono moltiplicati eventi e associazioni che hanno come finalità discutere di
rivoluzione sostenibile e benessere ambientale, a livello globale, divenendo
anche sempre più strategici e operativi. I Paesi dell’America Latina, da sempre
protagonisti di controverse vicende di sfruttamento delle popolazioni più
svantaggiate, devastazione delle ultime foreste pluviali e dell’ambiente in
generale, nel 2011 hanno costituito il Cumbre Empresarial de Estados Latinos
Americanos y Carabeños (CELAC), decisi ad affrontare i temi scomodi dello
sviluppo etico, nascosti per decenni dalle pressioni conservatrici di
multinazionali e lobby di legno e cibo.
Il
CELAC è nato a Caracas, Venezuela, e raggruppa 33 Paesi dell’America Latina e
dei Caraibi. Si è costituito principalmente come meccanismo regionale di
dialogo e accordo politico dove consolidare l’integrazione dei partecipanti in
vista di obiettivi comuni. Quest’anno, e precisamente a gennaio,
l’organizzazione si è riunita in Cile, a Quito, per discutere il rafforzamento
delle capacità nazionali, sub-regionali e regionali di disegnare efficienti e
innovative politiche ambientali da attuare nel breve e lungo periodo.
L’aspetto, tuttavia, più straordinario della giovane organizzazione è la
missione perseguita che prevede, tra le altre cose, di trovare una modalità
operativa che integri le politiche ambientali latinoamericane con quelle
europee (tra le più ambiziose a essere onesti) per ottenere miglioramenti più
veloci su scala globale.
Durante
questi incontri, come da prassi, le maggiori autorità in materia ambientale
definiscono le priorità condivise in tema di tutela della natura e di sviluppo
eco-sostenibile e sviluppano un’agenda in cui si articolano le attività dei
Paesi membri. I temi più discussi da politici e tecnici sono, neanche a dirlo,
il valore della biodiversità, il cambio climatico, la produzione a basso
impatto, la tutela delle risorse marine, costiere e idriche e, non ultimo, il
disarmo nucleare.
Rilevante
e utile a scuotere l’interesse di politici ed economisti è stata anche la
riattivazione delle negoziazioni relative alla Ronda de Doha (il trattato sulla
liberalizzazione del commercio internazionale dei prodotti agricoli che
dovrebbe aiutare i popoli emergenti, tra cui appunto quelli latinoamericani).
Aprire e facilitare il commercio mondiale è importante per i Paesi in via di
sviluppo, ma allo stesso tempo rende fondamentale una svolta in chiave
sostenibile degli stessi; il Brasile per esempio è primo nell’uso di
agrotossici, con effetti devastanti, confermati da anni di ricerche
scientifiche, su contadini, operai e consumatori locali e che dunque potrebbero
avere sulle popolazioni del resto del mondo qualora le frontiere commerciali
fossero aperte senza alcun controllo. Questo è il motivo per cui oggi in Sud
America si discute con tanta chiarezza della transizione dal modello agricolo
canonico all’agroecologia che tra le altre cose garantisce l’equilibrio della
biodiveristà, grazie anche alla ripartizione della terra da coltura in
proprietà più piccole, non invasive per il territorio.
Sono
piccole grandi vittorie quelle che sta collezionando il CELAC attraverso le sue
strategie: cominciano a nascere come funghi modelli di successo che dimostrano
la realizzabilità di soluzioni eco-sostenibili applicate alla produzione e
all’economia. In ballo per questi Paesi emergenti c’è molto di più che
l’interruzione del loro stato di “esportatore di commodities”, governi e
popolazioni pretendono ormai la riconquista della loro sovranità alimentare e
la liberazione dal pesante giogo occidentale e sopratutto degli Stati Uniti che
da sempre perpetrano in queste terre il ruolo di conquistadores senza scrupoli.
Queste motivazioni, unite a un sentimento di simpatia verso chi tenta tra mille
difficoltà di investire in un futuro migliore per tutta la Terra, dovrebbero
spingere ciascuno di noi a fare del proprio meglio per sostenere il cambiamento,
ovunque metta radici.
Agnese
Ficetola
Sociologa
Consulente
in Sociologia dell’Ambiente
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