Ma
se diminuiscono i salari e aumentano i disoccupati chi comprerà i prodotti? La
domanda è già stata fatta da milioni persone in questi anni ed è abbastanza
intuitivo che più è distribuita la ricchezza, più un’economia reale fondata
sulla produzione di massa funzionerà meglio e magari quella finanziaria (nei
limiti in cui è possibile questa distinzione) peggio o comunque senza vagare di
bolla in bolla. Adesso vedo che persino gli economisti ci stanno arrivando,
nonostante gran parte di essi siano ancora legati mentalmente al tardo
Ottocento e alla termodinamica delle macchine per la quale il rendimento della
trasformazione dell’energia da calore a lavoro meccanico cresce assieme alla
differenza di temperatura di un sistema. Tradotto: un sistema economico è più
efficiente man mano che crescono le differenze sociali e di salario, sintesi
realistica della vaporiera liberista.
Così
Joseph Stiglitz, assieme al collega italiano Mauro Gallegati, ha presentato un
nuovo teorema di cui già si è parlato a lungo e che trafigge al cuore il
pensiero unico: quando i ricchi (ovvero l’ 1%
più ricco della popolazione) si appropriano del 25 per cento del reddito
scoppia la «bomba atomica economica». E’ una cosa abbastanza ovvia: per quanto
essi possano consumare non consumeranno mai come il restante 99% della
popolazione. non possono mangiare 99 volte di più, non possono guidare 99
automobili, prendere 99 aerei contemporaneamente, fare 99 viaggi nello stesso
tempo, portare 99 giacche griffate lo stesso giorno o 99 mutandine di pizzo. E
più sottraggono risorse all’altro 99 % , più spezzano le gambe alla middle
class, più si affossano l’economia. E questo
- ma mi riprometto di parlarne – perché oltre alle limitazioni fisiche e
temporali ovvie, il denaro è una merce non deperibile e più si accumula, più
vale. I super ricchi, anche nel contesto dell’economia capitalistica, sono in
sostanza una palla al piede e un fattore di instabilità. Mi verrebbe quasi da
dire che sono un reperto dell’era preindustriale.
Ecco
perché ho fatto l’esempio della termodinamica che ai più sarà sembrato
bizzarro, ma non a chi sa quale fascino abbia esercitato la fisica, da Newton
fino a Poincaré, sugli economisti che come supremo obiettivo avevano quello di
fondare una vera e propria scienza sul modello newtoniano. Peccato che poi sia
arrivata la relatività e la quantistica, ma insomma il teorema di Stiglitz non
fa che ribadire il pensiero di Keynes riportando il focus dell’economia sulla
domanda piuttosto che sull’offerta. Il problema è semmai come si sia potuto
pensare il contrario e cioè che pochi ricchi sarebbero stati in grado di
migliorare la vita di tutti e dunque occorreva tagliare le tasse, distruggere
il salario indiretto dello stato sociale, diminuire la democrazia, cancellare
le regole per farli diventare più ricchi, attraverso multinazionali, centri
finanziari e quant’altro.
In
realtà anche se pochi liberali lo ammettono (non parlo dei liberisti ovviamente
che ne sono una mutazione) queste bizzarre teorie che esplodono con il celebre
quanto sbagliato diagramma di Laffer, vanno di pari passo con il naufragio
della società comunista che aveva costretto il capitalismo a molte riforme nel
timore delle rivoluzioni. Nel “Secolo breve”
Hobsbawm sostiene che nel
dopoguerra vi era stato «una sorta di matrimonio fra il liberalismo economico e
la democrazia sociale […] con aspetti non secondari presi a prestito dalla politica
economica dell’Urss, che per prima aveva praticato la pianificazione
economica». Con grande dispiacere del possidente reazionario von Hayek, musa
ispiratrice di molta della conservazione arcaica italiana. Ma quando il rivale
cominciò a perdere terreno al’inizio degli anni ’80, ci fu l’occasione per i
grandi centri di potere di riappropriarsi dell’ideazione, della inoculazione
mediatica e della prassi di un ritorno all’indietro, nonostante la società dei
consumi con cui avevano zavorrato gli ideali sociali, non possa esistere senza
i consumatori. La globalizzazione è servita lungo venticinque anni a nascondere
questa realtà grazie alla mobilitazione degli eserciti di riserva in Asia e Sud
America, che consentivano l’esplosione dei profitti anche in presenza di un
calo della domanda.
Ma
adesso siamo al dunque e l’evidenza diventa evidente nonostante i tentativi di
nasconderla, i dati empirici che fino a qualche anno fa vagavano tra i fogli di
calcolo impazziti per dare certi risultati, si rimettono in ordine ed esprimono
le correlazioni corrette. Ma c’è voluta la crisi, la disoccupazione, il
fallimento, la rabbia di un futuro rubato, il declino di intere nazioni per
riuscire a mettere la testa fuori dalla
bolla di sapone del pensiero unico e dalla forza tensiva dei potentati che la
sovvenzionano. Perché, sapete, la logica si può appannare e la matematica si
può corrompere, ma la realtà delle vite alla fine, anche inconsapevolmente si
impone. Una cosa che deve apparire come una sgradevole novità all’attuale ceto
politico che le sofferenze riesce a vederle solo in relazione all’ordine
pubblico e che ancora crede che non l’uguaglianza, ma l’iniquità sia
necessaria.
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