Intervista
a Alberto Bagnai
Le
privatizzazioni non sono sempre un male, ma quelle compiute in Italia negli
anni Novanta vengono ricordate con il termine meno lusinghiero di “svendite”.
Oggi, per far fronte a un crescente debito pubblico, il governo non esclude di
mettere sul mercato le società - tra cui dei veri e propri “gioielli” - che
ancora lo Stato possiede o controlla, come Enel, Eni e Finmeccanica. Al
Workshop Ambrosetti di Cernobbio si è tornati a parlare del tema con la
possibile presentazione di un piano di privatizzazioni entro fine mese e la
conferma del presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini,
dell’apertura di un dossier relativo ad Ansaldo. Corriamo il rischio di
svendere dei pezzi pregiati della nostra industria, magari strategica? Abbiamo
fatto il punto della situazione con Alberto Bagnai, Professore di Politica
economica all’Università di Pescara.
- Trova
l’operazione politicamente legittima?
Dal
punto di vista economico, no. Il tentativo di abbattere il debito tramite la
cessione di attività pubbliche si è sempre rivelato un fallimento: ogni volta
che si è proceduto in questa maniera, lo stock di debito non è stato
sensibilmente intaccato; in compenso, lo Stato si è privato di un importante
fonte di entrate. È evidente, infatti, che se un’azienda viene ceduta
all’estero (il nostro governo parla, in tal senso, di “afflusso di capitali
esteri”) i suoi profitti andranno fuori dall'Italia. Un’evidenza che, di
recente, ha ribadito Romano Prodi, su Il Messaggero del 17 agosto.
- L’artefice
delle svendite degli anni 90 ?
Effettivamente,
fu l’artefice di quel progetto.
- E
pure dell’adozione dell’euro al cambio di 1936,27 lire. Che effetti produsse
quella scelta?
Ogni
volta che un Paese adotta una valuta troppo forte per le condizioni della
propria economia, si espone al rischio di svendita. Nonostante alcuni
economisti non molto preparati sostengano che la valuta forte rende l’acquisto
delle nostre imprese particolarmente oneroso, mettendoci così al riparo dalle
acquisizioni straniere.
- E
invece?
Invece
è vero il contrario: la valuta forte distrugge la redditività delle aziende,
mettendo gli imprenditori in condizioni di vendere. Inoltre, la mancanza di
sovranità monetaria ha esposto l’Italia ad attacchi speculativi all’interno del
mercato dei titoli pubblici e a un crollo delle quotazioni borsistiche. Le
aziende che hanno visto i propri valori di mercato crollare sono diventate
estremamente vulnerabili.
- Le
vendite che ha in mente il governo che effetti produrrebbero sul debito
pubblico?
Nessuno.
Il debito pubblico non si sostiene, alla stregua di qualunque altro tipo di
debito, agendo sullo stock, ovvero sull’ammontare, ma sui flussi, cioè sui
redditi. Mi spiego: chi è ricco, può permettersi forti indebitamenti.
- Secondo
lei, che senso ha, quindi, l’operazione del governo?
Operazioni
di questo tipo, contestualmente alla difesa della valuta forte, servono per
favorire gli obiettivi dei delocalizzatori, ai quali conviene portare la
produzione fuori dall’ Italia, per beneficiare del basso costo dei salari, ma
tornare a vendere i prodotti in Europa, dove l’euro forte rende estremamente
facile importare da paesi più poveri. Non è un caso che questo governo sia
fortemente allineato, come si è visto a Cernobbio, con Confindustria. Come se
non bastasse, queste iniziative, se fatte in condizioni di emergenza, quando i
valori di mercato sono bassissimi, sono talmente poco redditizie che inducono
un legittimo sospetto: servono per promuovere gli interessi dei creditori
esteri e delle grandi banche d’affari che ci guadagnano prima a suon di costose
consulenze e, poi, gestendo le suddette operazioni.
- Tuttavia,
non crede che ci siano beni pubblici che non solo è legittimo ma anche doveroso
vendere, come le partecipazioni degli enti locali nelle aziende pubbliche?
Il
cuore del problema consiste nella qualità della spesa pubblica e
nell’efficienza nella gestione del patrimonio pubblico. Occorre, quindi,
abbattere la cattiva burocrazia che vessa il cittadino, sostituendola con una
che sistematicamente compia i dovuti controlli.
Paolo
Nessi
Nessun commento:
Posta un commento