La
crisi che stiamo attraversando è abbastanza chiaro trattarsi di una crisi
sistemica e non di una “normale” crisi caratteristica del sistema economico
capitalista.
Basta
confrontarla con altre crisi similari avvenute nel passato a partire da quella
del ’29 fino a quella degli anni ’70 per la crisi petrolifera o altre di minore
impatto.
Questa
più che una crisi somiglia sempre più ad uno tsunami i cui contorni e le cui
finalità spostano il loro impatto sempre un po’ più avanti sia nel tempo che
nelle condizioni.
Per
tutti i paesi le conseguenze sono state
pesanti, ma per alcuni sono state addirittura devastanti, tanto da far pensare
che la regia della questione sia sfuggita di mano andando oltre i desiderata.
Certo
il quadro è complesso e di non facile soluzione ma mai nella recente storia c’è
stata la sensazione, come in questo momento, che le risposte e le soluzioni
proposte siano totalmente, oltre che inadeguate, anche sbagliate e pericolose.
Sbagliate
perché si parte da un presupposto, se pur condiviso dai più, totalmente errato
e mistificante cioè, per alcuni paesi la crisi è più pesante perché hanno un
enorme debito pubblico.
Già
nella definizione troviamo l’incoerenza e la contraddizione della questione: se
un debito è pubblico, cioè di tutti, non può essere considerato un grave
problema. Se io ho un debito con un soggetto terzo ho ragione a preoccuparmi,
ma se ce l’ho con me stesso (è il nostro caso) posso decidere tranquillamente
di soprassedere. Oddio già sento i soloni di turno che inorridiscono e ripetono
a pappagallo: il debito non è con noi
stessi ma è con gli investitori stranieri (leggi speculatori) che acquistano i
nostri titoli, lo so non vi preoccupate lo so!. Ma basterebbe che la politica,
quella nobile con la P maiuscola riprenda le redini e la dirigenza
dell’economia sapendo, anche, che questa situazione è stata indotta
artificialmente da decisioni a livello internazionale sotto pressione e
direzione delle multinazionali della finanza, in cui la politica ha
progressivamente ma inesorabilmente rinunciato ad avere un ruolo attivo e
dirigenziale.
La
caduta del muro di Berlino ha sancito
una sconfitta culturale e politica di ogni forma di alternativa sistemica al
capitalismo il quale, ovviamente, ne ha profittato, riprendendosi con gli
interessi tutto quel poco che le lotte e la paura dell’orso rosso gli aveva
costretto a cedere. Quindi quello che è mancato nella gestione delle dinamiche
economiche e sociali degli ultimi venti anni è stata una proposta politica forte
e alternativa capace di controbilanciare il pensiero unico dominante.
Difatti
negli ultimi anni abbiamo assistito ad una cosiddetta “sinistra” che effettua
scelte in contraddizione con il proprio passato e retaggio storico e che lo fa
spesso, in maniera più radicale della stessa destra spalleggiando, nei fatti,
quei poteri e quegli ambienti che fino a poco tempo prima erano considerati
nemici.
Ad
esempio, vediamo che in Italia, infatti, in questi ultimi anni, la differenza
tra destra e sinistra è stata soprattutto pro o contro Berlusconi, non certo
pro o contro scelte diverse in campo politico, economico e sociale.
Le
recenti riforme degli ultimi governi, tecnici o di grandi intese, sono in
assoluto le più devastanti e ingiuste della storia moderna, si immolano
sull’altare della speculazione finanziaria (leggi interessi del debito) milioni
di vite e interi ceti sociali.
Se
questo è, allora mi chiedo: qual è il ruolo e la funzione della politica? Qual
è il senso di destra, sinistra, centro se poi nello spartito che si propone c’è
la stessa musica e cambiano solo, eventualmente e non sempre, gli esecutori?
In
Italia, comunque, siamo fortunati, perché la disaffezione e le proteste si sono
limitate all’assenteismo elettorale e a un voto di protesta affidato a un
personaggio folkloristico e, tutto sommato, innocuo come Beppe Grillo, anziché
a movimenti più radicali e magari fascisti e xenofobi, come sta succedendo in
Grecia e, udite udite, anche in Francia.
Le
rivendicazioni di carattere rivendicativo e di giustizia, anche se inquinate da
sentimenti di odio razziale o di genere, sono diventate patrimonio della destra
cosiddetta sociale, i fascisti del terzo millennio, come si autodefiniscono gli
epigoni del fascio qui da noi.
Questo
vuol dire che, come succede in natura, se uno spazio ecologico viene lasciato
vuoto, altre specie non tarderanno a colonizzarlo. Ma questo vuol dire anche
altre cose, ad esempio che la sensibilità all’ingiustizia ancora trova spazio,
che la voglia di cambiare, anche se manifestata in modo sbagliato c’è, e allora
mi chiedo: la sinistra o quella che ancora si definisce tale, che aspetta a
rimettersi intorno ad un tavolino e a proporre ipotesi e soluzioni sociali
alternative, che aspetta a essere di nuovo interprete del disagio, che aspetta
a schierarsi compatta senza se e senza ma a fianco dei lavoratori e dei ceti
più deboli? Ancora troppo forti sono le diffidenze reciproche, le lacerazioni,
i distinguo, su chi sia il più o meno puro rappresentante dell’integralismo
ideologico. E nel frattempo lor signori continuano a fere i loro porci comodi,
i giovani abbandonati a futuri senza luce, gli anziani mortificati nel loro
presente, i nuovi emarginali gli extra comunitari affidati, a seconda del
momento, a sentimenti di pietà o di ostilità incapaci di gestire e indirizzare
energie e forze diverse che potrebbero, se ben canalizzate rappresentare
straordinarie opportunità di crescita collettiva. Anche a sinistra si continua
a vagheggiare di ripresa economica, di rilancio industriale adottando gli
stessi occhiali da miopi
(nel
suo caso interessati), che indossa il capitalismo, incapaci ormai di formulare
progetti e alternative credibili.
Mai
scelta fu più scellerata del “politically correct”, in cui il nemico non è più
tale ma competitor, in cui i ruoli e le cose cambiano nome ma non cambiano il
loro status esistenziale, in cui il rispetto è solo formale in quanto lo squilibrio
iniziale è abissale e non permetterà mai pari opportunità.E lo si vede nelle
scelte quotidiane, i potenti trovano sempre ciambelle di salvataggio (legali,
per carità) laddove i poveri cristi sono invece immolati e sacrificati
sull’altare del profitto.
Ecco!
L’ho detto anch’io il termine innominabile, profitto, che è giusto nel caso degli speculatori,
diventa intollerabile quando riguarda i lavoratori. Marx aveva trovato una
formula per ridistribuirlo in maniera più equa: il “plus valore”, che dava
dignità e valore al contributo di ognuno al lavoro e al prodotto finito.
Magari
ricominciare ad essere meno corretti lessicalmente e più decisi e radicali
nelle scelte, potrebbe indurre anche i “padroni” (li chiamo così, perché questo
sono. Loro la lotta di classe non l’hanno mai smessa, e io, poi, sono
politically scorrect) a rinunciare a una parte dei loro privilegi, sia pure per timore e non per convinzione..
Insomma
se la sinistra ritrova le motivazioni e le tematiche alternative che le sono
proprie si potrà, anche se in tempi non brevi, riappropriare degli spazi politici
e sociali che le sono naturali, se rincorrerà settarismi e/o sentieri che
attengono ad altri (vero PD?) è destinata ad una lunga e continua agonia e lascerà
sempre più spazio a forze e movimenti di tutt’altro segno e di tutt’altra
origine.
Ad
maiora.
MIZIO