giovedì 14 novembre 2013

C’E’ VOGLIA DI SINISTRA,….ANCHE A DESTRA






La crisi che stiamo attraversando è abbastanza chiaro trattarsi di una crisi sistemica e non di una “normale” crisi caratteristica del sistema economico capitalista.
Basta confrontarla con altre crisi similari avvenute nel passato a partire da quella del ’29 fino a quella degli anni ’70 per la crisi petrolifera o altre di minore impatto.
Questa più che una crisi somiglia sempre più ad uno tsunami i cui contorni e le cui finalità spostano il loro impatto sempre un po’ più avanti sia nel tempo che nelle condizioni.
Per tutti i paesi le conseguenze  sono state pesanti, ma per alcuni sono state addirittura devastanti, tanto da far pensare che la regia della questione sia sfuggita di mano andando oltre i desiderata.
Certo il quadro è complesso e di non facile soluzione ma mai nella recente storia c’è stata la sensazione, come in questo momento, che le risposte e le soluzioni proposte siano totalmente, oltre che inadeguate, anche sbagliate e pericolose.
Sbagliate perché si parte da un presupposto, se pur condiviso dai più, totalmente errato e mistificante cioè, per alcuni paesi la crisi è più pesante perché hanno un enorme debito pubblico.
Già nella definizione troviamo l’incoerenza e la contraddizione della questione: se un debito è pubblico, cioè di tutti, non può essere considerato un grave problema. Se io ho un debito con un soggetto terzo ho ragione a preoccuparmi, ma se ce l’ho con me stesso (è il nostro caso) posso decidere tranquillamente di soprassedere. Oddio già sento i soloni di turno che inorridiscono e ripetono a pappagallo:  il debito non è con noi stessi ma è con gli investitori stranieri (leggi speculatori) che acquistano i nostri titoli, lo so non vi preoccupate lo so!. Ma basterebbe che la politica, quella nobile con la P maiuscola riprenda le redini e la dirigenza dell’economia sapendo, anche, che questa situazione è stata indotta artificialmente da decisioni a livello internazionale sotto pressione e direzione delle multinazionali della finanza, in cui la politica ha progressivamente ma inesorabilmente rinunciato ad avere un ruolo attivo e dirigenziale.
La caduta del muro di Berlino ha  sancito una sconfitta culturale e politica di ogni forma di alternativa sistemica al capitalismo il quale, ovviamente, ne ha profittato, riprendendosi con gli interessi tutto quel poco che le lotte e la paura dell’orso rosso gli aveva costretto a cedere. Quindi quello che è mancato nella gestione delle dinamiche economiche e sociali degli ultimi venti anni è stata una proposta politica forte e alternativa capace di controbilanciare il pensiero unico dominante.
Difatti negli ultimi anni abbiamo assistito ad una cosiddetta “sinistra” che effettua scelte in contraddizione con il proprio passato e retaggio storico e che lo fa spesso, in maniera più radicale della stessa destra spalleggiando, nei fatti, quei poteri e quegli ambienti che fino a poco tempo prima erano considerati nemici.
Ad esempio, vediamo che in Italia, infatti, in questi ultimi anni, la differenza tra destra e sinistra è stata soprattutto pro o contro Berlusconi, non certo pro o contro scelte diverse in campo politico, economico e sociale.
Le recenti riforme degli ultimi governi, tecnici o di grandi intese, sono in assoluto le più devastanti e ingiuste della storia moderna, si immolano sull’altare della speculazione finanziaria (leggi interessi del debito) milioni di vite e interi ceti sociali.
Se questo è, allora mi chiedo: qual è il ruolo e la funzione della politica? Qual è il senso di destra, sinistra, centro se poi nello spartito che si propone c’è la stessa musica e cambiano solo, eventualmente e non sempre, gli esecutori?
In Italia, comunque, siamo fortunati, perché la disaffezione e le proteste si sono limitate all’assenteismo elettorale e a un voto di protesta affidato a un personaggio folkloristico e, tutto sommato, innocuo come Beppe Grillo, anziché a movimenti più radicali e magari fascisti e xenofobi, come sta succedendo in Grecia e, udite udite, anche in Francia.
Le rivendicazioni di carattere rivendicativo e di giustizia, anche se inquinate da sentimenti di odio razziale o di genere, sono diventate patrimonio della destra cosiddetta sociale, i fascisti del terzo millennio, come si autodefiniscono gli epigoni del fascio qui da noi.
Questo vuol dire che, come succede in natura, se uno spazio ecologico viene lasciato vuoto, altre specie non tarderanno a colonizzarlo. Ma questo vuol dire anche altre cose, ad esempio che la sensibilità all’ingiustizia ancora trova spazio, che la voglia di cambiare, anche se manifestata in modo sbagliato c’è, e allora mi chiedo: la sinistra o quella che ancora si definisce tale, che aspetta a rimettersi intorno ad un tavolino e a proporre ipotesi e soluzioni sociali alternative, che aspetta a essere di nuovo interprete del disagio, che aspetta a schierarsi compatta senza se e senza ma a fianco dei lavoratori e dei ceti più deboli? Ancora troppo forti sono le diffidenze reciproche, le lacerazioni, i distinguo, su chi sia il più o meno puro rappresentante dell’integralismo ideologico. E nel frattempo lor signori continuano a fere i loro porci comodi, i giovani abbandonati a futuri senza luce, gli anziani mortificati nel loro presente, i nuovi emarginali gli extra comunitari affidati, a seconda del momento, a sentimenti di pietà o di ostilità incapaci di gestire e indirizzare energie e forze diverse che potrebbero, se ben canalizzate rappresentare straordinarie opportunità di crescita collettiva. Anche a sinistra si continua a vagheggiare di ripresa economica, di rilancio industriale adottando gli stessi occhiali da miopi
(nel suo caso interessati), che indossa il capitalismo, incapaci ormai di formulare progetti e alternative credibili.
Mai scelta fu più scellerata del “politically correct”, in cui il nemico non è più tale ma competitor, in cui i ruoli e le cose cambiano nome ma non cambiano il loro status esistenziale, in cui il rispetto è solo formale in quanto lo squilibrio iniziale è abissale e non permetterà mai pari opportunità.E lo si vede nelle scelte quotidiane, i potenti trovano sempre ciambelle di salvataggio (legali, per carità) laddove i poveri cristi sono invece immolati e sacrificati sull’altare del profitto.
Ecco! L’ho detto anch’io il termine innominabile, profitto,  che è giusto nel caso degli speculatori, diventa intollerabile quando riguarda i lavoratori. Marx aveva trovato una formula per ridistribuirlo in maniera più equa: il “plus valore”, che dava dignità e valore al contributo di ognuno al lavoro e al prodotto finito.
Magari ricominciare ad essere meno corretti lessicalmente e più decisi e radicali nelle scelte, potrebbe indurre anche i “padroni” (li chiamo così, perché questo sono. Loro la lotta di classe non l’hanno mai smessa, e io, poi, sono politically scorrect) a rinunciare a una parte dei loro privilegi, sia pure per timore e non per convinzione..
Insomma se la sinistra ritrova le motivazioni e le tematiche alternative che le sono proprie si potrà, anche se in tempi non brevi, riappropriare degli spazi politici e sociali che le sono naturali, se rincorrerà settarismi e/o sentieri che attengono ad altri (vero PD?) è destinata ad una lunga e continua agonia e lascerà sempre più spazio a forze e movimenti di tutt’altro segno e di tutt’altra origine.
Ad maiora.


MIZIO   

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