La
vita è complicata, lo sappiamo bene tutti. La prima è più inspiegabile
complicazione è la vita stessa. II suo mistero, il miracolo, per molti la
dannazione.
Questo
aspetto, però, ancorchè fondamentale, in genere, viene risolto ignorandolo o
affidandosi alla scienza, alla religione o a qualsiasi speculazione filosofica
ci trovi più o meno convinti, trattandosi alla fine sempre di un atto di fede,
quindi estremamente intimo e personale.
Qui
vorrei, invece, trattare brevemente dell’organizzazione delle nostre vite
improntate ad una sempre maggiore difficoltà di comprensione e di applicazione.
L’essere
umano nasce, cresce, si istruisce, lavora avendo fondamentalmente pochi
obiettivi da raggiungere e poche necessità da soddisfare. Il mangiare, il bere,
il ripararsi, il riprodursi in attesa di quella che è l’unica cosa semplice e
sicura: la fine.
Ovviamente
è una semplificazione volutamente eccessiva, perché per soddisfare questi
bisogni primari, ci possono essere milioni di modi diversi, tra cui alcuni che
potrebbero essere non giusti e deleteri per gli altri. Ecco allora che
intervengono le regole, le leggi, che, più la società evolve, più diventano
complesse e articolate. Nascono così figure nuove: i tecnici, gli esperti che
interpretano e spiegano le leggi: avvocati, giuristi. Altri che le applicano e
sanzionano il non rispetto delle stesse forze di polizia, magistrati e altri organi di giustizia.
L’aumento
costante della popolazione comporta altri obblighi: l’uso razionale delle
risorse, degli spazi, della libertà altrui. L’evoluzione dell’essere umano nel
suo movimento temporale ha reso il singolo sempre più cosciente di questa
necessità, il pubblico (la società) sempre più impegnata a complicare ciò che
apparentemente dovrebbe essere semplice e naturale a questo punto dello
sviluppo societario.
Ci
chiediamo, allora perché così non è’ Perché in nome di una legalità che sempre
meno fa rima con giustizia, si immolano intere vite e interi popolazioni al
rispetto di regole astruse e complicate che, invece di semplificarne la vita,
la rendono un ginepraio inestricabile e foriero di guai e problemi?
Forse
è la smania ancestrale e forse, innata, che alcuni tra gli esseri umani,
portano con sé: l’amore smodato per il potere e la sopraffazione con ciò che
comporta in termini di gratificazione e rendiconto personale.
Le
costituzioni degli stati e i loro codici giuridici potrebbero essere
tranquillamente sostituite da pochi articoli tra cui il più importante dovrebbe
essere il rispetto del prossimo e della massima condivisione di beni e saperi
per il godimento degli stessi dalla totalità delle persone.
Eppure
è la cosa più difficile da ottenere e si viene tacciati , nel migliore dei
casi, di utopia, nel peggiore di essere comunisti (cosa che per la maggior
parte sembra essere un’infamia). Quindi il potere e le persone che si dedicano
all’adorazione e all'applicazione di principi diversi, operano in senso esattamente contrario al
buon senso, complicando all’eccesso e condizionando ogni piccolo e più
insignificante aspetto della vita. Per ottenere ciò non essendo, almeno nella
moderna società occidentale, sufficiente la parola dispotica del re o del
nobile signorotto, si condiziona la massa con una serie di informazioni e
distorsioni della verità sino ad ottenere l’adesione della maggioranza a ciò
che si considererà come l’unico modello possibile e praticabile e, per questo, pronta anche a
lottare e ad accettare sacrifici sulla propria pelle considerati, a questo
punto, necessari.
Ci
saranno esperti economisti che a fronte di una super produzione alimentare, ad
esempio, ci spiegheranno con dotte e approfondite teorie, che parte di queste,
invece di essere distribuite e utilizzate per tutti debbono essere distrutte
pena il crollo dei prezzi. Ci convinceranno che un movimento di pezzi di carta
(titoli) effettuato con un click del mouse a Singapore rende giusto e
plausibile che si abbassino le pensioni e i salari in un qualsiasi altro paese.
Come ci hanno convinto che la nostra vita debba essere sacrificata sull’altare
del dio profitto in nome di un teorico benessere collettivo che, molto poco
casualmente, riguarda sempre e solo un’elite.
Hanno
sposato e pubblicizzato il modello competitivo
come l’univo possibile per soddisfare e
solleticare i più bassi istinti delle persone, considerando falliti coloro che
non reggono o non condividono tale modus vivendi, premiando, invece,
all’eccesso coloro che immolano la propria vita, la propria e altrui felicità
all’inseguimento della chimera chiamata successo.
La
vita è semplice e semplice deve essere la sua lettura, la complicazione è
nemica della vita, della verità, della giustizia. Diffidiamo da chi complica la
vita, di chi impone assurde regole che ci legano alle bizze e
all’interpretazioni degli Azzeccagarbugli di turno essi stessi strumenti più o
meno coscienti del perverso meccanismo. Questi troveranno la loro soddisfazione
nel ritenersi esperti nell’interpretazione, il più delle volte a danno o vantaggio
di pochi, delle norme, dei vincoli e dei lacciuoli ad arte creati e imposti ai
più.
Vediamo
lo stupore e l’ammirazione con cui valutiamo i laureati in una determinata
università anziché in un’altra e poi li vediamo per il resto della loro vita
incapaci di distogliere lo sguardo dall’ unica visuale che è stata imposta
loro, non fermandosi mai a riflettere che forse possa essere tutto un bluff alimentato
ad arte e loro stessi strumenti utilizzati per scopi che non sono i propri.
Solleticare
l’orgoglio e la vanità di alcuni per farne strumenti di pressione e convincimento
delle masse è uno dei moderni sistemi di controllo e indirizzo del pensiero.
Le
guerre distruggono vite, speranze, futuri eppure grazie a queste tecniche e a
questi interpreti vengono recepite e rese, anche moralmente, accettabili, anche
quando, non la virtù dei santi, ma il semplice buon senso porterebbe a giudicarle
una follia.
Tutto
questo detto finora non deve far pensare ad una mia propensione a stili di vita
francescani o improntati al mero
soddisfacimento dei bisogni materiali. Al contrario il non creare complicazioni
all’individuo tali da dover immolare la propria esistenza al reperimento del
necessario per sé e i propri cari, permetterebbe a tutti di coltivare
sentimenti e culture più affini al proprio intimo sentire. Avremmo più cultori
del bello in tutte le sue manifestazioni artistiche e naturali. Avremmo un
maggior rispetto di sé e dell’ambiente che ci circonda, non avremmo gli eccessi
tipici di questa società che marcia a ritmi insostenibili verso l’autodistruzione.
Avremmo medici, artisti, scrittori, scienziati che seguiranno le proprie
naturali inclinazioni senza il miraggio del potere che questo comporta
attualmente. Avremmo vite in cui non saremmo incatenati al bisogno e al mero
lavoro per la sopravvivenza, ma vite in cui si potrà essere operai e
intellettuali allo stesso tempo, non essendo necessario esibire titoli
accademici per poter dedicarsi allo studio e al libero pensiero.
Se
ci pensate questi sono principi presenti in tutte le maggiori religioni e in
molti sistemi politico-sociali eppure, pur essendo alla base teorica del
pensiero della stragrande maggioranza, vengono lasciate sullo sfondo a far da
tappezzeria a tutt’altri modelli.
Ad
maiora
«
La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta
nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità. »
C.Bukowski
MIZIO