In
alcuni rari momenti liberi che la vita mi concede amo, a volte, andare a pesca.
L’intento principale di tale attività non è tanto quello della cattura, in
verità non troppo frequente e quasi sempre restituita al suo elemento naturale
con l’avvertenza di essere più accorta la prossima volta, ma il piacere quasi
zen di passare qualche ora a contatto con la natura e, fondamentalmente, con se
stessi.
Comunque
uno degli eventi più frequenti nell’attività piscatoria con la canna e la lenza
è il formarsi di quell’inestricabile groviglio di fili piombi e ami che, nel
gergo, viene chiamato parrucco o parrucca. Può verificarsi per l’imperizia del pescatore,
per un colpo di vento improvviso per la presenza di rami e alberi sommersi, il
risultato comunque è qualcosa che mette a dura prova la nostra pur proverbiale
pazienza
Di
fronte al parrucco ci sono due alternative principali, più una terza che
illustrerò in seguito. Una prevede il paziente lavoro di scioglimento
dell'apparentemente inestricabile susseguirsi di nodi, teso soprattutto alla
salvaguardia del materiale ed evitare un inutile spreco di attrezzatura e
soldi. L’altro, più radicale prevede di rompere il tutto e ricostruire la lenza
daccapo. La scelta tra le due ipotesi dipende molto dalla difficoltà nello
sciogliere, dalla sensibilità individuale allo spreco, ma soprattutto
dall’esperienza pregressa maturata in situazioni simili e cui si risponde
fondamentalmente con le proprie caratteristiche caratteriali.
Quindi
l’alternativa è in genere tra rompere e buttare il tutto o tentare di
recuperare e salvare il salvabile.
Vi
chiederete il perché di questo esempio apparentemente senza senso, ma perché
c’è racchiuso gran parte di quella che può essere la vita dell’essere umano in
qualsiasi ambito della stessa. Quante volte ci si trova di fronte ai bivi
difficili, faticosi da districare della nostra esistenza. in cui dobbiamo
scegliere se cambiare tutto o se mantenere valorizzandolo il buono che rimane
di ogni cosa. La scelta in questi casi non può che dipendere dal carattere,
dalla visione, dall’esperienza che fa di ognuno di noi un essere assolutamente
unico e non replicabile.
Ovviamente
questo vale anche in politica, quante volte si ha la voglia di fronte
all’incapacità di capire o di farsi capire di scegliere la via più facile e
diretta del buttare tutto a mare o, al
contrario, di ostinarsi a voler ricucire e salvare il più possibile di
esperienze precedenti anche a fronte di un’indiscutibile impossibilità a farlo?
Quale
delle due strade è la migliore o la più praticabile?
Non
sarò certo io a indicare la strada migliore e valida in ogni occasione o per
ognuno, le valutazioni le potrà fare solo il singolo in base alle risultanze della sua esperienza, della sua
visione, delle sue aspettative. Ma qualsiasi essa sia non può essere sottoposta
alla critica e alla condanna preventiva, soprattutto se fatta in mala fede.
Dicevo
prima che c’è anche una terza possibilità ed è quella che in molti, decisamente
troppi, hanno fatto e fanno in questi anni, quella di smettere di pescare. E’
la più radicale, forse anche la più comprensibile ma quella che sicuramente non
permetterà di pescare nulla, accontentandosi, nel migliore dei casi di restare
sulla riva a guardare.
Anche
questa, ovviamente, al pari delle altre due, è una scelta rispettabile nella
misura in cui non si ponga come elemento di disturbo e di boicottaggio per chi sceglie, nonostante tutto di
continuare a pescare sciogliendo con pazienza i nodi o, al limite, anche
spezzando tutto e ricominciando da capo.
Ad
maiora
MIZIO
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