mercoledì 15 febbraio 2012

SANITA' E LIBERO MERCATO




Quando recentemente mi sono recato all’ospedale Alta Bates per un intervento chirurgico, ho scoperto che le procedure legali hanno la precedenza su quelle mediche. Ho dovuto firmare dichiarazioni intimidatorie su: assistenza finanziaria, assicurazione, responsabilità del paziente, consenso alla cura, uso di tecnologie elettroniche e simili.
Uno di questi documenti mi vincolava così: “Il medico dell’ospedale è con questo autorizzato, a sua discrezione, a disporre di ogni membro, organo o altro tessuto rimosso dalla sua persona durante la procedura.” Ogni membro? Ogni organo?

Il giorno successivo sono ritornato per l’operazione. Al suono della musica di Frank Sinatra il chirurgo ha cominciato a sezionare diversi strati del mio addome allo scopo di trattenere i miei intestini con una rete permanente. Successivamente ho trascorso due ore nella sala post-operatoria. “Mi sento come se avessi partecipato ad un combattimento con i coltelli”, dissi a una infermiera, che mi spiegò: “Si chiama chirurgia”.
Quindi, ancora imbottito di anestetici e medicamenti, sono stato portato fuori in strada. In strada? Si, poche ore dopo l’intervento mi hanno mandato a casa. Nei paesi che hanno un servizio sanitario pubblico (mi sono detto), ci sarebbe stato in attesa un mezzo dotato di personale specializzato per aiutare il paziente a raggiungere il proprio domicilio.
Niente di tutto questo nell’America del libero mercato. L’accordo pre-operatorio specifica in neretto che si deve avere “un conoscente adulto e responsabile” (in contrapposizione a un estraneo adolescente e irresponsabile) incaricato di riaccompagnarvi a casa con un veicolo privato. Continuavo a pensare, cosa accade a quegli sfortunati che non hanno nessuno per impacchettarli via? Deperiscono all’infinito per le vie d’accesso all’ospedale finché il cattivo tempo non li fa fuori?
Non è consentito chiamare un taxi. Se un taxi dovesse causare qualche danno, si potrebbe ritenere l’ospedale legalmente responsabile. Ripeto, è una faccenda di responsabilità e di avvocati, non di salute e dottori.
Uno dei due amici che mi ha condotto fino a casa se n’è poi andato in farmacia per comprare i potenti antibiotici che dovevo prendere ogni quattro ore per due giorni. A me non piace come gli antibiotici distruggano i “batteri buoni” che il nostro corpo produce e come contribuiscano a creare pericolosi ceppi di batteri super-resistenti. Continuavo a pensare a una scoperta recente: fare eccessivo affidamento sui farmaci uccide più americani di tutte le droghe messe insieme.
E allora, perché devo prendere gli antibiotici? Perché, come tutti continuavano a dirmi, gli ospedali sono luoghi davvero pericolosi, infettati da stafilococchi e super-batteri. È una questione di autoprotezione.
Due giorni dopo l’intervento, ho notato un’area di colore rosso scuro nel basso ventre che segnalava un’emorragia interna. Teoricamente, avrei dovuto ricevere una telefonata di controllo da parte di un infermiere che si accertasse del mio decorso. Ma la telefonata non sarebbe mai arrivata, perché lo staff stava preparando uno sciopero. “Non abbiamo alcun contratto”, mi aveva detto uno di loro mentre mi trovavo nella sala post-operatoria. Così ora le infermiere sono in sciopero, e io da solo a fare congetture sulla mia emorragia interna. Che spasso.
Fortunatamente, non è andata così. Una infermiera mi ha chiamato nonostante lo sciopero. Sì, mi ha detto, si è trattato di un’emorragia interna, ma bisognava aspettarselo. Il mio chirurgo ha richiamato quello stesso giorno per confermarmelo. La morte non stava ancora bussando alla porta.
Alcuni giorni più tardi, si è verificato un esteso sciopero degli infermieri da una costa all’altra. Tra l’altro, gli infermieri lamentavano “una mancanza di rispetto da parte della cultura ospedaliera corporativa che richiede sacrifici ai pazienti e a quelli che si prendono cura di loro, ma che paga i dirigenti milioni di dollari” (New York Times, 16 Dicembre 2011). Era citato anche uno spietato negoziatore dell’amministrazione: “I soldi li abbiamo. Quello che proprio ci manca è la volontà di darveli.” (ibid.)
Come per gli altri medici, sia il chirurgo che il mio medico di base (GP, General Practitioner) rappresentano le vittime e non i perpetratori dell’attuale sistema corporativo sanitario. Il mio GPmi ha spiegato che farsi pagare dalle compagnie assicurative, per i servizi ipoteticamente coperti, è una battaglia senza fine. Sentendosi sempre più come un addetto al recupero crediti piuttosto che un medico, il GP ha capito che era meglio non prendere più parte alle infinite discussioni telefoniche con le compagnie assicurative.
In America ci sono 1.500 compagnie assicurative sanitarie, tutte freneticamente consacrate a massimizzare i profitti, aumentando i premi e bloccando i pagamenti. L’industria sanitaria è nel suo complesso l’affare più grosso e più redditizio della nazione, per un ammontare di circa un trilione di dollari.
Insieme alle smisurate compagnie assicurative e farmaceutiche, coloro che ne traggono il più elevato vantaggio sono le Health Maintenance Organizations (HMOs, Organizzazioni per la Salvaguardia della Salute Pubblica, ndt] rinomate per pretendere pagamenti esorbitanti a fronte di medici sottopagati e obbligati a trascorrere sempre meno tempo con ogni paziente, e qualche volta persino a negare le cure necessarie.
Io non ho un’assicurazione privata. E la mia Medicare [Assistenza Statale Medica per soggetti di età superiore ai 65 anni, ndt] almeno finora funziona. Come molti altri dottori, il mio GP non accetta più Medicare. Da diversi anni ormai, i pagamenti di Medicare ai medici generici sono rimasti relativamente invariati, mentre i costi della gestione amministrativa (staff, spazi, assicurazione) sono aumentati progressivamente. Così, i pazienti del mio GP ora devono pagare per intero ogni visita, una cosa non sempre semplice da realizzare.
Il nostro sistema sanitario riflette le nostre classi sociali. Alla base della piramide ci sono i poverissimi. Molti di loro soffrono per lunghe ore nelle sale del pronto soccorso per poi essere semplicemente allontanati con una prescrizione inutile o dannosa. Nessuna meraviglia se “tra le nazioni industrializzate, gli Stati Uniti registrano il più alto numero di morti evitabili tra i pazienti in cura“ (Healthcare-NOW!, 1° dicembre 2011).
Troppo spesso i più poveri non ricevono cura alcuna. Semplicemente muoiono di una qualche malattia per la quale non possono permettersi una terapia. Un mio conoscente mi ha raccontato di come sua madre sia morta di AIDS perché non poteva permettersi i trattamenti che avrebbero potuto mantenerla in vita.
Una volta, a Houston, ho fatto conversazione con l’autista di una limousine, un giovane afroamericano, che mi spiegava di come entrambi i suoi genitori fossero morti di tumore senza mai avere ricevuto alcuna cura. “Sono semplicemente morti”, mi disse con un dolore nella voce che riesco ancora a ricordare.
Nella piramide sociale, proprio al di sopra della classe dei poveri, si trova l’assediata classe media che assiste all’estinguersi della copertura sanitaria mentre paga ingenti somme alle compagnie assicurative orientate al profitto. Io ho potuto effettuare l’intervento chirurgico all’Alta Bates soltanto perché sono abbastanza vecchio per avere la Medicare e ho a disposizione un reddito sufficiente per contribuire al cofinanziamento.
Per la mia operazione ambulatoriale, l’ospedale ha addebitato a Medicare 19.466 dollari. Di questi, Medicare ha pagato 2.527 dollari, mentre a me è stato presentato un conto di 644 dollari. Poi l’ospedale ammortizzerà il disavanzo risparmiando notevoli somme sulle tasse da versare (equivalenti a un tributo indiretto da parte di tutti i contribuenti). Se non avessi avuto la copertura Medicare, avrei dovuto versare l’intera somma di 19.466 dollari.
Sono stato informato dall’ospedale che la spesa di 19.466 dollari copre solo i costi dell’ospedale per l’attrezzatura, i tecnici, le forniture e la sala. Così, oltre ai 644 dollari, dovrò pagare per ogni medico, assistente e anestesista che ha fornito servizi addizionali. Sto aspettando l’altra tegola sulla testa.
Quanto guadagna il mio chirurgo? Non molto, tra i 400 e i 500 dollari in tutto, incluse le visite prima e dopo l’intervento e l’operazione stessa, un lavoro di estrema precisione che richiede competenze del più alto livello. Anche lui deve sostenere l’onere di un’assicurazione, di un ufficio, di un assistente e di un crescente carico burocratico.
Il mio chirurgo mi sottolineò: “Se domanda alle persone quanto prendo per un’operazione come la sua, le risponderanno dai 4.000 ai 5.000 dollari, sbagliandosi in eccesso solo di uno zero.” Mi fece poi notare che in un recente discorso il Presidente Obama aveva criticato un chirurgo per avere guadagnato 30.000 dollari nella sostituzione di una rotula. “Al chirurgo spetta una frazione minima di quella somma”, mi spiegò il dottore.
A peggiorare le cose, la notizia che circola su un taglio del 27% ai rimborsi dell’assistenzaMedicare per i medici generici. Se questo accadrà, sarà sempre più difficile trovare un chirurgo che accetti Medicare. E ancora peggio, le compagnie private di assicurazione parteciperanno alla spremitura dei medici per ottenere ulteriori profitti.
Ho potuto far fronte al mio pagamento (644 dollari), non soltanto perché la mia operazione è coperta in maniera consistente da Medicare, ma perché è stata eseguita in day hospital. Non so come me la sarei cavata se avessi dovuto sottopormi a un trattamento prolungato ed estremamente costoso.
E tanti saluti alla vita della classe media. All’estremo più alto della piramide si colloca l’1% di quelli che non devono preoccuparsi di nulla di tutto ciò, i super ricchi che hanno denaro abbastanza per qualunque tipo di trattamento all’avanguardia nelle case di cura più raffinate del mondo con suite di lusso e menu ricercati.
Tra i privilegiati del settore sanitario ci sono i membri del Congresso e il presidente degli Stati Uniti. Non pagano nulla. Sono curati con trattamenti del più alto livello. Gradiscono, come dire, il sistema sanitario pubblico. Nessun legislatore conservatore è rimasto fedele ai propri principi di libero mercato, rifiutandosi di accettare questa cura medica finanziata col denaro pubblico.
John Mackey, Amministratore Delegato di Whole Foods, ha allegramente annunciato che le spesa sanitaria non è tra i diritti umani; dovrebbe essere “regolata dal mercato proprio come per il cibo e l’alloggio”. Nessuno ha un’opinione di John Mackey più alta della mia, ritenendolo una sanguisuga antisindacale mossa dall’avidità. Nonostante ciò, gli accorderò il merito per avere ammesso candidamente la sua dedizione maniacale al profitto disumanizzato.
Il sistema sanitario degli Stati Uniti costa molte volte di più rispetto a quanto si spenda per i sistemi di assistenza pubblica, ma è tanto più scadente in termini di qualità della cura e trattamento. Che è poi il modo in cui intendeva essere. L’obbiettivo di ogni servizio a libero mercato – che si tratti di forniture, alloggio, trasporti, educazione o sanità – non è quello di massimizzare la prestazione, ma di massimizzare i profitti, spesso a discapito delle prestazioni.
Se i profitti sono alti, allora il sistema funziona bene, per l’1%. Ma per il restante 99%, la brama di profitto è essa stessa il cuore del problema.
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Michael Parenti ha preso il Dottorato di Ricerca in scienze politiche alla Yale University. Ha insegnato in molti college e università, negli Stati Uniti e all’estero. È autore di ventitre libri.

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