Nel
febbraio 1991, trova attuazione la cosiddetta svolta della “Bolognina” che
scioglierà il PCI, trasformandolo in PDS e provocando una dolorosa frattura
all’interno di quello che, fino a quel momento, era il maggior partito
comunista dell’Occidente, provocando la fuoriuscita di una robusta minoranza
che diede vita a Rifondazione Comunista, forza che si rifaceva ai valori più
tradizionali della sinistra storica..
Da
allora la storia delle due anime è stata tutta un susseguirsi di svolte e
scissioni: il PdS, diventa prima DS (democratici di sinistra) e poi più
semplicemente PD (Partito Democratico) in omaggio al sogno americano di
Veltroni del bipolarismo all’italiana, e vivendo soprattutto di
contrapposizione al berlusconismo imperante, riesce anche ad avere maggioranze risicate in parlamento con la formazione di governi di centro sinistra, in cui, però, di sinistra c’era ben poco, anzi!!!
Dall’altra
parte Rifondazione viveva tutte le contraddizioni di una forza politica che non
riusciva a rappresentare coerentemente tutte le anime di quella sinistra che si
era ritrovata in essa, e, dopo l’esperienza governativa del primo Prodi, inizia
una serie di scissioni che, alla propria destra e alla propria sinistra, vede
nascere ulteriori formazioni., ricordiamo: “Partito Comunista d’Italia”,
“Comunisti Unitari” (confluiti nei DS), “Partito Comunista dei Lavoratori”, più
altri minori, fino ad arrivare a quella al momento, più significativa, il “Movimento
per la Sinistra” di Vendola (attuale SEL).
In
questo quadro solo un osservatore distratto o sciocco poteva immaginare una
travolgente galoppata vittoriosa della sinistra in Italia, che, tanto è vero,
al governo non ci è quasi mai arrivata e, pur quando c’ è stata, con i governi
Prodi, d’Alema e poi ancora Prodi, ha portato avanti politiche proprie della
destra liberal-capitalista, vedi leggi sul precariato giovanile, le
liberalizzazioni e privatizzazioni selvagge di Aziende e Enti pubblici, le
limitazioni ai diritti dei lavoratori e, in ultimo, l’appoggio ai peggiori governi
del dopoguerra, quello del Prof. Monti e quello contro natura di Letta nato dall’accordo
suicida col nemico Berlusconi.
Così,
mentre una parte della cosiddetta “sinistra” ( il Pd) completava la sua
metamorfosi genetica trasformandosi in un partito moderato e centrista che, al
massimo, poteva rappresentare un’alternanza all’imbarazzante rappresentanza
della destra berlusconiana, e, non certo un’alternativa, avendo sposato i
tratti più deteriori delle politiche economiche neo-liberiste, dimenticando,
non solo Marx, ma anche Keynes, e al di là di qualche sparuto rappresentante e
di una parte della base, non può più essere ragionevolmente iscritto ad
un’appartenenza politica di sinistra.
Rimane,
dunque, a rappresentare i valori fondatori della sinistra in Italia, quella
composita galassia che viene etichettata come sinistra antagonista, che va da
forze che, si propongono anche come forze di governo (SEL) a forze totalmente
aliene da qualsiasi forma di compromesso. Il risultato finale è che la sinistra,
in Italia, da oltre 20 anni non è più rappresentata in maniera organica e
significativa.
Dunque
che fare? Rassegnarsi ad una mera testimonianza d’appartenenza o, come sarebbe
auspicabile, riscrivere insieme un nuovo libro di sogni e progetti chiaramente
definibili di sinistra? Molti sono convinti della necessità di ciò, ma, invece,
di mettersi intorno ad un tavolo, ognuno mettendo in gioco sé stesso e le
proprie scelte, si va avanti con progetti individuali che ripercorrono le
stesse fallimentari strade del recente passato.
Barca
l’ex ministro del governo Monti tenta una sua personale avventura all’interno
del PD cercando di recuperare l’originaria anima di sinistra,(mission impossible)
ipotizzando un partito che sia slegato dalla gestione della cosa pubblica e dal
governo, provocando, inizialmente interesse in Vendola, Rodotà,e altri
esponenti, interesse ben presto, però, scemato. Rifondazione e Comunisti
italiani (ora Federazione della sinistra) ed altri minori propongono la nascita
di un unico soggetto quasi un nuovo PCI,
ma questa strada passerà , quasi inevitabilmente, attraverso nuove divisioni
sul ruolo e sulle prospettive di tale soggetto. Ingroia, l’ ormai ex
magistrato, dopo il fallimento dell’esperienza di “Rivoluzione Civile”, abbassa
il tiro e si propone con la sua “Azione Civile” come riferimento per la
sinistra. Contemporaneamente sul fronte sindacal- politico, Giorgio Cremaschi,
esponente della Fiom, parte, in questi giorni, con la sua proposta di movimento
libertario e anticapitalista denominata Ross@.
Taccio
per carità di patria su altri innumerevoli e insignificanti tentativi e vado
diritto alla domanda: “Davvero ognuno di questi soggetti crede di venire
incontro all’esigenza di rappresentanza dei ceti storicamente ascrivibili alla
sinistra o, più realisticamente, si tratta di uno dei tanti capitoli di una
storia che ha portato all’attuale agonizzante situazione?
Eppure
il potenziale elettorato di sinistra c’è, ed è sempre più ampio, grazie alla
crisi e alle leggi liberticide dei vari governi succedutisi in questi anni. Non
dimentichiamo che ormai vota poco più del 50% degli aventi diritto ed è in
quella sacca di delusione, disillusione, rancore e menefreghismo che bisogna
andare a pescare, non lasciare che questa diventi qualunquismo e venga intercettata
esclusivamente da movimenti impalpabilli e improbabili come il M5S o, peggio,
da altri più chiaramente razzisti e/o fascisti.
Facendo
un’analisi neanche troppo qualificata e approfondita della situazione politico-sociale
in Italia, tale deriva non appare, oggi, né assurda e neanche troppo lontana.
Quindi
la Sinistra in questo contesto deve essere capace di trovare una sintesi che rappresenti
sia il malessere sociale, cui deve dare anche risposte immediate, sia proporre
un nuovo modello di sviluppo economico-sociale che metta in discussione quello attuale.
Dare
speranza alle nuove generazioni è un dovere come lo è rassicurare i più deboli
e gli anziani, rimettere in moto l’economia privilegiando il lavoro e i
lavoratori, rivedere gli accordi economici firmati con la grande finanza
europea che stanno strangolando interi popoli e intere nazioni. Affermare chiaramente
che la crisi non è dei cittadini e dei lavoratori, ma è una crisi tutta interna
al sistema capitalista – liberista e che solo una prospettiva di società basata
su uguaglianza e condivisione di risorse e conoscenze è in grado di superare,
prendere atto che vent’anni di concessioni di diritti e di risorse economiche
al grande padronato e alla grande finanza hanno avuto come unico risultato
quello di creare milioni di precari senza alcun ritorno in termini di
efficienza e ridistribuzione della ricchezza lasciando l’essere umano alla
mercè del cosiddetto “Mercato”. Mercato” che, si sa, non ha cuore e ciò che si
dovrebbe fare è proprio questo recuperare un senso etico del far politica
usando più cuore e anima e meno calcoli aritmetici basati su uno zero virgola
qualcosa in più o in meno alle elezioni. L’unica sinistra che vogliamo è quella
capace di disegnare prospettive per il domani ma anche soluzioni per l’oggi,
che rappresenti non solo un simbolo da spendere alle elezioni ma un “modus
operandi” quotidiano che sia attivo e visibile nel corpo vivo della società là
dove è sempre più presente la sofferenza e latita sempre più la speranza. Chi
deve fare ciò? Chi deve rappresentare questa sinistra quasi “pastorale”? La
risposta è semplice: ognuno di noi, ognuno di coloro che sentono come proprie
le sofferenze degli ultimi, ognuno che è testimone d’ingiustizie, ognuno, che
abbia voglia di cambiare e non di subire.
La
nuova sinistra deve nascere, quindi, dal basso, perché, l’esperienza ci ha dimostrato
che le proposte dei politici di professione, ammesso che siano preparati e
sinceri, spesso sono tese più a magnificare se stessi e le proprie idee che a
rappresentare le istanze dei lavoratori e dei cittadini.
Quindi
la sinistra si ricostruisce dalle fondamenta, dal quartiere, dal paese, dalla
città, dalle scuole, dai posti di lavoro, con l’impegno quotidiano che porta
inevitabilmente a superare quelle differenze spesso più di facciata e di
rappresentanza che sostanziali. Bisogna recuperare il senso profondo del
definirsi di sinistra che non può essere solo un modo di essere alternativo
alla destra ma deve rappresentare quella speranza di cambiamento per la costruzione
di una società più giusta e libera che tenga conto non più solo di parametri
economici ma anche dell’essere umano nell’accezione più ampia e completa del
termine. Che non viva di scomuniche e abiure ma di comunanza d’intenti. Per
fare questo c’è bisogno della più grande delle rivoluzioni possibili, quella necessaria
per cambiare noi stessi e le nostre
convinzioni spesso sclerotizzate in una visione limitata e settaria che porta a
calcoli limitati e spesso meschini. Ognuno nel suo ambito, nella sua
organizzazione, nel suo mondo faccia la sua parte senza aspettare messianiche
indicazioni dall’alto e ricostruiamo quel tessuto connettivo di solidarietà e
di prospettive che da troppo tempo manca.
Utopia?
Forse! Ma tremendamente necessaria.
MIZIO
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