Chi
ricorda Hugo Enyinnaya? Attaccante nigeriano, segnò all'esordio in serie A
contro l'Inter prima del gol dell'altro esordiente Antonio Cassano, per poi
finire precocemente una carriera tormentata dagli infortuni nell'Anziolavinio e
nello Zagarolo. Hugo ha anche un passaggio da professionista in Polonia dove,
ha raccontato poi alla stampa italiana, al giocatore nero in campo toccava
l'immancabile, spregioso rito del lancio di banane. Gli infortuni e il razzismo, oltre ad un paio di gol alle
nostre latitudini, sono stati i leit motiv della carriera di Enyinnaya prima
del definitivo rimpatrio in Nigeria da ex calciatore. Per Enyinnaya gli stadi
sono stati il set dello spettacolo delle banane volanti, una sorta di rito di
demarcazione della asserita inferiorità razziale della persona. Dove il
simbolico del disprezzo del cibo altrui serve a costruire lo spettacolo
dell'inferiorità.
La
banana, cibo comunemente consumato da uomo e scimmia, serve classicamente al
compimento del rito, rafforzando la codificazione dell'inferiorità del soggetto
preso di mira con il lancio. Gesto che definisce il soggetto preso di mira o
come incapace di ricevere il cibo o come rinchiuso in un recinto. Per Cécile
Kyenge, ministro della repubblica, è invece l'Italia ad essersi configurata
come il paese delle banane volanti.
Non
prima di essere stata pubblicamente classificata, grazie ad approssimative
categorie tratte dal mondo degli omidi, come un orango dal vice-presidente, ad
oggi ancora in carica, del ramo senatoriale del parlamento.
L'Italia
di Facebook, nell'attimo compulsivo ed inquieto che passa tra la mente e il
click, nel frattempo l'aveva già definita qualcuno che dovrebbe provare uno
stupro giurando sulla sua insensibilità, come donna di origine africana, su
cosa possono provare le donne bianche di fronte alle aggressioni. C'è solo da
commentare che se una donna, o un uomo, dai tratti caucasici dovessero provare
direttamente il dolore di una donna africana per capirlo non basterebbero loro
500 anni tra Treblinka e il tuffo in un altoforno acceso. Ma, detto questo, il
ruolo simbolico e politico di Cecile Kyenge all'interno del governo Letta è
qualcosa di molto diverso dall'idea di ministro che fa il proprio dovere mentre
è contestato da una minoranza di razzisti e di fascisti. La Kyenge infatti sta
all'interno di un dispositivo piuttosto efficace di legittimazione del potere.
Efficace e, visto il disastro del governo Letta-Berlusconi-Napolitano, tanto
più importante nel momento in cui il consenso è un bene scarso.
Vediamo
qualche elemento di lettura: in ogni dinamica di capro espiatorio il potere si
legittima nel momento in cui mette all'indice qualcuno veramente abietto ed
inviso alla stragrande maggioranza della popolazione. La fama è consolidata
quando si censura qualcuno di realmente impopolare non i casi controversi. La
disperata che su Facebook scrive "spero che qualcuno stupri la ministro"
o il consueto Calderoli si prestano magicamente a questo ruolo: vengono
condannati e simbolicamente sacrificati, vengono cioè ragionevolmente esclusi
dall'ambito simbolico dei cittadini dotati di dignità, proprio perchè realmente
squallidi, abietti e persino pericolosi. Come sempre, non c'è bisogno di aver
letto Girard, chi opera questo rito di espulsione simbolica dell'abietto, dal
cerchio di chi gode di dignità sociale, ne guadagna in reputazione.
E
così ecco che lo stesso liquame mediale responsabile della regressione,
cognitiva e politica, della società italiana si trasforma in soggetto di produzione simbolica di
giustizia. Media pettegoli, banali, disinformati, depistanti che
improvvisamente ritrovano un ruolo sociale nella purificazione simbolica di chi
è (realmente) abietto dall'ordine sociale.
E
che dire di Cécile Kyenge? Il suo martirio, fatto di insulti di ogni genere,
simbolicamente senza fine, almeno fino al termine del mandato, è rappresentato
entro un modello comunicativo sperimentato. Quello derivato, a sua volta, dal
modello cristiano-antico del martirio che fa di colui o colei che lo subisce, o
che lo cerca volontariamente, il “testimone” della fede. In questo caso la
"fede" testimoniata e' quella della maggioranza di governo e, in subordine,
del parlamento. Avviene quindi che chiunque testimoni solidarietà con chi è
costretto a intraprendere il sentiero del martirio trovi, a sua volta,
simbolica rigenerazione. Non manca nessuno in questo processo: l'ex ministro
Carfagna, Claudio Cicchitto, l'ex difensore della costituzione Franceschini,
qualche parlamentare PD che ha sospeso i lavori del parlamento al momento della
protesta contro la calendarizzazione della sentenza su Berlusconi.
Dal
punto di vista antropologico gli insulti alla ministro Kyenge finiscono per
produrre un processo di legittimazione del potere, l'odiata "casta",
proprio perchè scatenano la solidarietà generalizzata di fronte a gesti tanto
aberranti. Questo avviene perchè la politica non è l'etica: non distribuisce
tanto torti e ragioni ma consolida poteri e rafforza gerarchie nell'ambito di
riti consolidati. Questa funzione, di rilegittimazione simbolica grazie ad un
complesso dispositivo comunicativo e mediale, del ministro Kyenge sembra poi
l'unica a sua disposizione. Il suo ministero, ammesso e non concesso che
l'"integrazione" non sia ancora un occhio coloniale sulle sulle
migrazioni, non ha fondi, indirizzo politico, non fa intravedere un'idea di
futuro del rapporto tra Italia e nazionalità migrate in questo paese. Anzi la
Kyenge, sponsorizzata da Livia Turco (della destra hardline del Pd,
cofirmataria della famigerata Turco-Napolitano, prima legge che deteneva e
deportava i migranti che non avevano commesso reati), al massimo si è mostrata
disponibile a limare la legislazione detentiva per i migranti (quelli che non
hanno commesso alcun reato, ndr) nel CIE. Senza politica che possa incidere
nelle migrazioni in Italia, senza fondi, in liberistica austerità ed in
ossequio ai propri sponsor politici, cosa resta alla Kyenge? Quest'unica
funzione di rappresentazione simbolica del martirio di fronte alla barbarie
culturale di una parte di questo paese.
In
un dibattito a BBC World, dopo la nascita del Royal Baby, si è discusso di
quale fosse la funzione di una simile rappresentazione simbolica della nascita.
In mezzo ad un redattore di Vanity Fair è anche emerso che, dopo la crisi della
funzione simbolica del servizio sanitario nazionale (lo NHS), in Gran Bretagna
non resta, come elemento di unificazione identitaria, che la rielaborazione di
questi riti già esportati, nel loro contenuto spettacolare, ai tempi della
prima globalizzazione in epoca vittoriana. E in'Italia cosa resta dal punto di
vista identitario e non, dopo la disintegrazione reale di ogni diritto
concreto? Niente altro che lo spettacolo della solidarietà simbolica,
spettacolo sempre più simile ad un gioco di società, dopo un'offesa reale.
La
Kyenge non è quindi la Rosa Parks italiana, la donna che rifiutò di cedere il
posto in autobus ai bianchi, e non solo perchè ha la scorta e l'autista. E
piuttosto una Condoleeza Rice dall'aspetto mite: non si dimetterà nè contro
Berlusconi o gli F-35 nè ha detto una parola sui metodi duri della polizia in
Valsusa. E' un ministro dell'integrazione a difesa del quale il Viminale non
promette politiche sociali ma "tolleranza zero" Kyenge è quindi una
parodia di ministro, senza strumenti concreti ed autonomia reale, quanto i suoi
contestatori sono una parodia di esseri umani. Nel paese delle banane volanti
tutto questo scorre come una frase di Lewis Carroll: semplice, veloce, fluida e
complicatamente paradossale.
di Terry McDermott
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