In
un precedente post ( http://mmizio.blogspot.it/2013/07/quale-sinistra.html) ho cercato di analizzare quale sinistra possa essere possibile
in Italia e i motivi della sua inconsistenza politica negli ultimi 20 anni. Nel
fare questo non possiamo fare a meno di analizzare il percorso involutivo del
PD in questo periodo. Dalla svolta della Bolognina alla nascita del PdS, dall’appoggio
incondizionato e contronatura al sistema elettorale maggioritario, proseguito con le ulteriori
metamorfosi, prima DS e poi schierandosi apertamente per il bipartitismo im(perfetto) con
la nascita del PD attuale.
Da
partito che sapeva coniugare l’azione di lotta e l’azione di governo (come il
PCI) si passa, neanche troppo lentamente, a un modello di partito che punta
esclusivamente alla gestione del potere.
Cosa
legittima, ovviamente, ma che non giustifica la trasformazione epocale del
partito arrivata al punto di far dubitare che esso possa aver avuto in un
recente passato radici nella sinistra. La scelta del sistema elettorale
maggioritario, è la prima e più evidente prova di ciò.
Nel
1953 Alcide De Gasperi promosse e fece approvare la legge 148 che trasformava
la legge elettorale vigente da proporzionale a maggioritario, con premio di
maggioranza per il partito che avesse superato il 50% dei voti. Il PCI e il PSI
si gettarono a corpo morto nella mobilitazione contro la legge, accusarono De
Gasperi di aver attuato un colpo di Stato e di voler instaurare una dittatura
ottenendo, attraverso il premio maggioritario, il controllo assoluto del
Parlamento. Fortunatamente grazie alla mobilitazione popolare, la legge non
passò.
E’
vero che all’epoca era ancora fresca l’esperienza fascista e la sensibilità
verso poteri troppo forti era giustificata, ma anche oggi il principio ha una
sua validità.
Il
proporzionale garantiva e promuoveva la rappresentanza anziché la delega, il
maggioritario, invece, non rende più
necessario (anzi) una presenza militante e forte sul territorio.
Ecco
che allora la mutazione genetica del Partito ha un sua prima chiave di lettura:
non più partito che rappresenta valori e interessi specifici collettivi, ma
Partito che si propone come modello semplicemente diverso rispetto ad un altro,
non puntando più alla mobilitazione e all’informazione delle masse per la sua
azione politica ma privilegiando la
tessitura di legami e interessi con i vari poteri, economici, sociali e
finanziari.
Chiudono,
quindi, gran parte delle sezioni territoriali, le poche che rimangono aperte
diventano luogo di sporadiche riunioni tra pochi militanti, penose imitazioni
delle partecipate assemblee e attività che caratterizzavano le sezioni
comuniste. E cambia fatalmente anche il dna del militante, non più soggetto
legato ad un progetto collettivo di cambiamento, ma oggetto legato ad una
logica di schieramento e di promozione propria o del proprio capo corrente, soprattutto
dopo che all’interno del PD sono confluite forze provenienti da esperienze
politiche addirittura antitetiche, rispetto al vecchio Partito. Ex socialisti,
ex democristiani, esponenti , perfino, della Confindustria, del capitalismo e
del mondo finanziario
Questa
trasformazione ha come conseguenza il crollo del rapporto di fiducia tra l’elettore
di sinistra e l’ex partito che avrebbe dovuto rappresentarlo, e che, dopo
innumerevoli peregrinazioni tra le cento (e forse più) forze che hanno cercato
di raccoglierne l’eredità, si è rassegnato e rinchiuso in un’apatica e
rancorosa astensione.
E
veniamo finalmente ad oggi, in cui assistiamo, esterrefatti al completamento
della parabola involutiva del PD.
Presentatosi
alle elezioni con una sola chiara parola d’ordine. “Mai con Berlusconi e col
PdL”,. Bene, sapete tutti come è finita. Si è detto governo “contronatura”, ma
nato dalla necessità di fare quelle poche cose necessarie, per arrivare prima
possibile a nuove elezioni. Già dopo pochi giorni, non si parlava più di
riforma elettorale, ma si nominavano 40 saggi per studiare le riforme
necessarie (anche quelle costituzionali), quindi il limite temporale si
spostava già di ulteriori tre anni: Nel frattempo arrivano le condanne per
Berlusconi, le vicende Calderoli, quelle del rimpatrio della dissidente Kazaka,
tutte cose che in altri tempi avrebbero avuto conseguenze immediate sul
governo, oggi, invece, provocano un’alzata di scudi quasi collettiva a difesa
dell’esecutivo (primo fra tutti, purtroppo, il Presidente della Repubblica).
In
questo quadro appare logica e persino tardiva, la richiesta del PdL a lasciare
da parte i temi “divisivi” dei diritti civili e della giustizia, e puntare
senza indugio ad un accordo che porti ad un governo di legislatura.
D’altra
parte la stessa scelta della compagine
governativa del PD non faceva presagire
nulla di buono: tutti ex democristiani a
cominciare da quel Letta nipote di cotanto zio.
Si
ma il PD è un partito aperto, che dibatte, in cui si possono manifestare idee e
posizioni diverse. Si, si, ne riparlerete al congresso, ammesso che ve lo
facciano svolgere (vedi intervista a Fioroni al Corriere della Sera di ieri).
L’unica
salvezza per quei pochi che ancora pensano e si sentono sinceramente di appartenere
alla sinistra all’interno del PD è di prendere atto del fallimento. Il PD non
sarà mai e, probabilmente, mai lo è stato un partito ascrivibile alla sinistra, e, scusate, se rischio di urtare la
vostra sensibilità, è stato la più grossa iattura per la sinistra italiana.
Il
responsabile primo della condizione di subalternità delle posizioni di sinistra
nella politica e nella società; della condizione vergognosa in cui sono stati
ridotti i lavoratori, i giovani, le donne; della nefasta supremazia della politica
economica finanziaria recessiva rispetto al lavoro e ai diritti, tutte cose che
un tempo sarebbero state avversate e combattute, oggi supinamente accettate
anzi promosse in prima persona, e vedrete che cosa ha in serbo il nostro
governo per i prossimi anni.
Ah
già che sciocco! Adesso non possiamo far altro, è l’Europa che ci chiede certe
cose. Beh in prossimo intervento cercheremo anche di vedere qual è stato il
ruolo del Pd nei vari accordi europei e
vedremo che anche là non ha fatto una gran figura, anzi!
MIZIO
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