giovedì 18 febbraio 2021

LA RETORICA DEL CORAGGIO

Dell'ambiente sociale in cui sono nato e cresciuto, credo d'aver già raccontato abbastanza da far intuire che il mio approccio alla vita non sia stato segnato esattamente da un percorso sul red carpet degli agi e dei facili riconoscimenti. Comunque, grazie a fortuna, combinazione, incontri, predisposizione personale e familiare, quello che sembrava un sentiero già segnato dalla sorte ha potuto prendere, sia pur faticosamente e progressivamente l'aspetto di un percorso di “normalità” (ammesso che esista una normalità). Situazione che, però non poteva non tener conto dell'habitat e delle condizioni in cui essa si era maturata, rappresentando rispetto l'esistente intorno, un'eccezione piuttosto che la regola. La consapevolezza di ciò rendeva, se possibile, ancora più serrato la sensazione di dover “ripagare”, in una qualche maniera le opportunità avute. Quindi scegliere di fare l'insegnante e di impegnarsi in politica e nel sociale sembrarono scelte conseguenti e, quasi naturali. Null'altro sembrava poter dare un senso più alto e nobile nell'ambito delle cose, per me, potenzialmente possibili. Le due scelte convissero tra loro più o meno felicemente per circa 4/5 anni. Almeno fino a che la vita e le sue spietate condizioni costrinsero a valutare che, continuare con la precarietà e i relativi scarsi introiti, non erano più compatibili c on le precarie finanze personali e familiari. Fui così, diciamo “costretto” a impegnarmi nella ricerca del famoso posto fisso, partecipando a decine di concorsi pubblici che spaziavano a 360° dal posto di spazzino a quello di educatore nelle carceri o mediatore culturale in Regione. Comunque in quel lasso di tempo l'impegno politico assorbiva la maggior parte del tempo e mi portava progressivamente, anche a ricoprire posti di responsabilità oltre che nel partito, anche nelle istituzioni pubbliche. Fu proprio in questa veste che le mie convinzioni e la capacità di averle fatte proprie furono messe decisamente alla prova. Come consigliere circoscrizionale (non erano ancora diventati municipi) si stava nelle varie commissioni, perciò per la mia giovane età e per la mia occupazione del momento fui messo in quella che si occupava di cultura, scuola, politiche giovanili. Si consideri che le circoscrizioni (municipi) di Roma equivalgono, comunque, come popolazione e complessità dei problemi, a città di medie dimensioni. La mia in particolare aveva all'epoca circa centomila abitanti. Tra le altre cose la commissione scuola si occupava degli asili nido e delle relative graduatorie per l'inserimento, vista la scarsità dei posti disponibili. Accadde, così che una mattina, stranamente arrivò una telefonata dal Direttore didattico (l'attuale dirigente) del circolo scolastico in cui prestavo più o meno, saltuariamente la mia opera di precario. Telefonata in cui mi si invitava a passare in direzione l'indomani mattina. Considerando che quelle volte in cui ci si incrociava nei corridoi della scuola, quasi mai rispondeva al mio cordiale buongiorno, la cosa mi turbò non poco. Nell'attesa dell'incontro ripercorsi mentalmente gli accadimenti dei giorni passati per cercare di trovare una qualche inadempienza, errore o mancanza talmente grave da dover essere trattata addirittura personalmente dal grande capo. “Buongiorno direttore. Voleva vedermi?”. “Oh, buongiorno signor Mari.... (signor Mari....?) chiuda la porta e si accomodi”. Avete presente Fantozzi a rapporto col mega direttore galattico? Ecco , più o meno, quella era la sensazione: “Mi hanno detto che lei, signor Mari...., fa parte della commissione scuola circoscrizionale, non è vero?” Da lì in poi capii che, forse non ero il Fantozzi di turno e che per una volta i ruoli erano, se non proprio rovesciati, comunque, diversificati. Difatti il gran capo, in pratica, mi spiegò la delicata situazione familiare del figlio rimasto da solo con un bambino piccolo e con l'assoluta necessità di trovare posto in un nido. In pratica, stava chiedendo a me, supplente precario, una raccomandazione per agevolare l'inserimento del nipote nelle graduatorie dell'asilo. In quel periodo ero già abituato alle telefonate, alle richieste e all'ascolto delle situazioni più disperate che chiedevano un occhio di riguardo per la stessa questione, ma a tutte rispondevo che tutto quello che potevo sicuramente promettere era l'impegno al più rigoroso controllo della corretta applicazione dei criteri e dei relativi punteggi faticosamente condivisi. Ma, indubbiamente, ribadire tali motivazioni davanti il tuo capo, era chiaramente cosa leggermente più delicata che avrebbe comportato, una maggiore capacità diplomatica e anche un pochino di coraggio. Ci salutammo, io con un evidente disagio, lui con un calore e affabilità, decisamente imbarazzante. Mi parve chiaro che non avesse colto appieno la mia posizione. Forse espressa, data la comprensibile particolare situazione, certo con chiarezza, ma senza la necessaria durezza e indignazione. Comunque, vuoi per il fato, vuoi per i criteri adottati il bambino rientrò tra gli aventi diritto, senza che io muovessi un dito, che, d'altra parte non avrei, comunque, fatto. Non mi affannai certo a comunicargli la cosa, e, cercai anche di evitare di transitare dalle parti del suo ufficio. Ma dopo qualche giorno, fu lui che mi convocò nuovamente in direzione. Il suo atteggiamento fu ancora più affabile e confidenziale, ringraziandomi calorosamente in modo cameratesco. Nonostante gli espressi la mia assoluta estraneità alla questione, ci tenne a farmi intendere che capiva e apprezzava la mia modestia e il riserbo, ma che entrambi,(con strizzata d'occhio) sapevamo come fosse andata. Un po' alla Totò e al suo dichiarare:”Siamo uomini di mondo, noi!” Poi passò con improvvisa serietà, e complicità abbassando il tono di voce e guardandomi negli occhi:”Signor Mari...., lei vorrebbe fare l'insegnante nella vita?”, “Sarebbe il mio obiettivo, in effetti” “Bene, allora so che il prossimo anno uscirà il concorso, io posso aiutarla a far diventare il suo sogno realtà. Faccia la domanda, subito dopo mi venga a trovare e io le garantisco che non solo lei sarà un insegnante- Ma che lo sarà proprio in questa scuola (a cento metri da dove abitavo). Alla fine di quell'anno scolastico, in cui il direttore ci tenne a ricordarmi il suo impegno, come detto, fui costretto a cambiare totalmente lavoro e vincendo uno dei tanti concorsi, mi ritrovai casualmente ferroviere. Il famoso concorso uscì, in effetti, l'anno successivo. E, per amor di sincerità fui,anche se per pochissimo tempo, tentato di approfittare di quella promessa del direttore. Ma il pensiero di tradire tutto quello per cui avevo vissuto e cercato di mettere in pratica fino ad allora, mi impedì, devo dire senza troppa fatica, di alzare la cornetta o andarlo a trovare. Il risultato e' stato, ovviamente, che rimasi ferroviere. Non felicemente, ma senza rimorsi. Sempre, più o meno in quel periodo in cui ero consigliere, proprio per quella posizione, mi fu offerta la possibilità di vincere facilmente un concorso come funzionario al Comune di Roma. Ruolo con ottime possibilità di sviluppo e di carriera. Questa volta con la motivazione, meglio che, in certi posti ci vada uno dei nostri piuttosto che un democristiano. Risposi che se il democristiano fosse stato più bravo di me era giusto che quel posto fosse il suo e che il mio impegno in politica era proprio per affermare e rappresentare certi valori e certi principi. Non certo per promozione personale. Racconterò in altra occasione le lusinghe cui fui sottoposto quando mi dimisi da quell'incarico, da parte di vari esponenti di altre forze politiche. Tutte persone che,al pari del direttore e del compagno che mi propose la questione del funzionario, non avevano capito nulla della serietà, del valore, e della preminenza di certi valori ideali nella mia personale scala. Affermati, non certo con la drammaticità del sacrificio supremo, come per altri in diverse condizioni, ma capaci, comunque di resistere alle lusinghe di percorrere un'autostrada più comoda piuttosto che il sentiero accidentato e scomodo su cui sarei potuto rimanere. Perchè a volte sento il bisogno di ricordare alcuni passaggi cruciali, eppur quasi dimenticati del proprio vissuto? Perchè forse aiuta qualcuno a capire il perchè di certi giudizi e di certe scelte. Scelte che possono sembrare figlie di una rigidità ideologica o di un settarismo estremista, identitario e, per certi versi gratificante. Di queste attribuzioni l'unica che posso condividere è quella che riguarda la gratificazione perchè è indubbiamente vero che niente è altrettanto appagante che lo stare in pace con la propria coscienza che non ha appartenenza politica o religiosa. Quindi, e arrivo a bomba al nocciolo della questione, non “sfrugugliate” con la questione del coraggio , pompandola solo per aver espresso il proprio punto di vista dalla comoda location di un posto in parlamento o in un qualsiasi altro ruolo politico o amministrativo. E non giudicate chi si è distaccato, magari aanche con dolore, da quel mondo che si nutre e vive esteriormente di retorica ma immerso fino al collo nel compromesso e (questa si) nell'autopromozione e autoesaltazione. La supremazia della coscienza sull'interesse, sia personale che di gruppo, arrivata ad essere considerata quasi un difetto anziché una virtù. Buona solo per esaltarne retoricamente il luminoso esempio in figure del passato, tradendola però, costantemente, nella pratica quotidiana. Adattandola ogni volta ai propri limitati interessi immediati piuttosto che a quelli collettivi di largo respiro. Se è considerata una colpa questa linearità di comportamento, ebbene siamo colpevoli. Ma della nostra eventuale “colpa” ne rispondiamo sempre e soltanto noi stessi. Altri, con le loro, coinvolgono colpevolmente intere comunità (spesso vittime della sindrome di Stoccolma) ma soprattutto gli interessi e i diritti dei più bisognosi e derelitti. Eppure i posturologhi e gli ortopedici lo dicono sempre,. Anche se si passa tanto tempo seduti su una poltrona, per evitare problemi, bisogna stare sempre con la schiena diritta. E chi vuol capire capisca. MIZIO

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