Eppure
c’è qualcosa di nuovo in questo Natale greco. Una specie di fibrillazione
finora sconosciuta a fine anno. Me lo spiega in poche frasi un vecchio
pensionato che vive con meno di 500 euro al mese. Sta seduto in piazza Kodzia,
la mattina in cui dopo giorni di gelo il sole alza le temperature quasi a 20
gradi e improvvisamente i mercati natalizi più popolari si riempiono di folla
brulicante, un ciondolio di pacchi e pacchetti, sfrigolare di carta da regali.
Sta lì fermo da ore, impassibile e beato. “Ah, questa sì che è vita” mormora
“Non trova che Atene sia la città più bella del mondo? Con questo sole. L’aria
delle montagne e del mare. Niente di meglio per accogliere i miei nipoti.
Perché tutti quanti aspettiamo chi torna, adesso”. Eccola qui, la novità. Il
vecchio Athanasios ha tre nipoti che lavorano sparsi per l’Europa del nord. E
sono poche le famiglie che non contano qualche giovane esponente della nuova
generazione di “migranti”. Così la festa più importante in Grecia, la Pasqua,
passa quasi in secondo piano.
“A
Natale tutti tornano” mi racconta Anna Keitologou, 26 anni, un fratello in
Inghilterra. “Perché si assecondano i
ritmi dei paesi protestanti”. Così le case si preparano a festeggiare i ritorni
nella migliore e più antica tradizione elladica, quella che diede il nome al
dolore (algos) del ritorno (nostos): la nostalgia. Anna ha cinque amiche
strette, di cui quattro sono partite. L’unica rimasta non è pagata da settembre
ma si rifiuta di lasciare la Grecia. “I nostri genitori ci dicono di andare.
Pochissimi trattengono i figli”. Lei stessa partirà. Destinazione Amsterdam.
Per ora studia nell’ottima e selettiva scuola statale delle Belle Arti, dove
però non c’è più nulla tranne i professori (dimezzati): né carta, né matite, né
altri strumenti. Guadagna facendo tatuaggi e si paga i 190 euro mensili di
affitto nel suo monolocale da 15 metri quadri. Di cui è felicissima. Ha un
piccolo terrazzo da cui si vede il Partenone. Lì, al sole, prepara i regali per
il fratello. Regali simbolici. Non compreranno quasi nulla, in famiglia. Si
spenderà soltanto per la cena del 24 e il pranzo del 25.
Per
il resto ci si arrangia. Mercati e mercatini a bassissimo prezzo aprono
ovunque, dalle piazze alle metropolitane. Mentre le aree dello shopping
tradizionale hanno aspetti desolanti. Anche nelle zone più ricche. Dimitris
Vlissides, psichiatra, primario all’ospedale di Voula, mi accompagna a Glyfada,
sul mare, poco lontano dalle stanze in cui riceve pazienti inserendoli in liste
sempre più lunghe (personale dimezzato: attese reduplicate, da una settimana a
un mese almeno). Le ville dei più ricchi sono come bunker sorvegliati da
guardie private e enormi masse di filo spinato sulle mura protettive, quasi
fossero zone militarizzate, ma i negozi ancora aperti, scintillanti di
luminarie natalizie, sono deserti. Vlissides ha visto decrescere il suo
stipendio del 38 per cento. Oggi guadagna 2000 euro al mese. “E sono primario
da ventisette anni. Lei immagina qual è la differenza rispetto ai miei colleghi
europei? Figuriamoci se mi metto a fare grandi regali. Qualcosa ai miei figli,
certo. Però il mio vero contributo sará in cucina”. Festeggiare tutti insieme:
il rito del simposio. Anche Vlissides ha un figlio in Inghilterra, ma nel suo
caso il ragazzo ci è nato e cresciuto perché lui stesso aveva cercato lavoro lì
prima di trovarlo in patria. “Non bisogna esagerare con il vittimismo. Partire
è un bene. Apre la mente. Scuote dalle certezze”.
Alcune
certezze che da psichiatra esperto mette in dubbio riguardano un altro tipo di
fuga particolarmente di moda negli ultimi tempi in Grecia, la fuga da tutti i
problemi, quella definitiva. Secondo i dati sono 3124 i suicidi negli ultimi
tre anni. “Ma io credo che sia cambiata soprattutto la percezione dell’atto in
sé. Non lo si considera più esecrabile, la condanna della chiesa pesa meno e
dunque i dati sono più credibili che in passato”. Vlissides tossisce il suo
raffreddore nelle stanze gelide dello studio dove riceve. “Lo stato non paga
più il riscaldamento” dice ma preferisce cambiare argomento. E già si sfrega le
mani spiegandomi la sua versione del maiale al forno. “Il tacchino non è parte
della nostra tradizione”.
Si
festeggerà comprando questo – cibo e bevande – non molto altro. Neppure i
generi di estremo lusso. “È una favola quella secondo cui i grandi ricchi
spendono con una specie di ostentazione” racconta Eleftheria Tseliou,
proprietaria della galleria d’arte Batagianni, una delle più importanti di
Kolonaki, il quartiere ricco del centro “Da noi le vendite si sono dimezzate.
Per il resto, si guardi intorno, basta fare due passi qui fuori. Io però sono
ottimista. Lavorando bene ne usciremo meglio”. È un’idea che hanno anche altri,
anche chi è meno ottimista. Ci penso passando dalla via Condotti di Kolonaki,
Patriarhi Ioachim, alla popolare Ipokratous, nel quartiere accanto, ancora
segnato da recenti scontri nella ricorrenza della morte di Grigoropoulos,
quindicenne ucciso nel 2008 da un poliziotto. La via è zeppa di negozi di mille
generi, cianfrusaglie, antiquari, modellismo, miniaturisti. Su tutti però
svettano munifici rivenditori di libri usati. Qui i negozianti confermano un
dato sorprendente. Il giro di libri usati è in crescita. Molti svuotano case e
svendono volumi di pregio. Molti vengono a comprarne: più poveri di prima ma anche
più numerosi. Forse sono quelli che non possono più permettersi le novità? O
magari i recenti disoccupati che hanno più tempo per leggere? Fatto sta che,
unici in Europa, qui i lettori sembrano crescere. Altro che chic. Il futuro qui
non lo costruirà la moda. Del resto, già duemilacinquecento anni fa lo
spiegavano così: per produrre si deve studiare, per studiare occorre il tempo
libero. Ecco perché la parola “scuola” in greco antico significava
apparentemente tutt’altro. Scholé. Ossia ozio. - Matteo Nucci
http://www.minimaetmoralia.it
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