Le
parole d'ordine sono "no ai populismi", "no ai nuovi
nazionalismi". Lo ripetono tutti, a pappagallo, dal presidente del
Consiglio uscente al Pd, fino a tutti i Pigi Battista dell'italica carta
inchiostrata. Chiamano populismo e nazionalismo tutto ciò che non rientra nei
loro piani, nel loro diktat di progressivo impoverimento e di spillaggio della
sovranità. L'asse PD-SPD, la nuova "internazionale" del "Ce lo
chiede l'Europa", non ha dubbi e agisce in modo fascista sulle idee diverse.
Cominciamo allora a mettere i puntini sulle "i". Non è l'Europa che
ce lo chiede: ce lo chiedono loro.
Il
che non suona esattamente allo stesso modo, right? L'Europa non esiste, dunque
non ha un pensiero, un volto, e soprattutto non parla. Facendola assurgere a
divinità, a oracolo che si esprime attraverso teoremi e parametri (e si è visto
come li stabiliscono), si tenta di annichilire ogni obiezione, ogni possibilità
di critica, esattamente come nessun fedele contesterebbe un messaggio
spirituale ricevuto dalla Madonna in persona e pervenuto attraverso le labbra
di una veggente.
Invece,
chi trasmette i messaggi della dea Europa sono uomini e sono donne in carne e
ossa. Sono i medium che comunicano con lo spirito continentale, i gran
sacerdoti di una religione rivelata che vuole instaurare un nuovo Ancien Régime
in cui i memorandum, redatti da un manipolo di cardinali eletti per volere di
Dio, assurgono al ruolo di scritture sacre. Essi esprimono, beninteso e con
titolo, le loro opinioni. Ma solo quelle: non sono per forza di cose
rappresentativi di alcuna unità pretesa e indimostrata: anzi, per l'esattezza sono
rappresentativi di un bel niente, se non loro stessi e i loro interessi.
Costoro
hanno dunque paura di chi non sente le voci della dea Europa, che chiede
sacrifici come e peggio dello Jahvè di Mosè e manda i suoi comandamenti
inscritti su tavole della legge scolpite dalla Troika. Chi osa contestare il
totem dello spread è il nuovo infedele. Siamo populisti e pericolosi
nazionalisti. E perché mai? Perché osiamo aprire i documenti e analizzarli, con
il supporto di economisti non allineati, non a libro paga, e ne traiamo
deduzioni illuministiche anziché fideistiche? In nome di cosa dovremmo essere
definiti così? Siamo viceversa "razionalisti". E non combattiamo
l'aspetto religioso, ma la Santa Inquisizione: combattiamo i Torquemada del
"più Europa a tutti i costi", combattiamo i crociati che conquistano
la Terra Santa, l'Italia, alla ricerca del Sacro Graal, la ricchezza accumulata
dagli italiani. E soprattutto, reagiamo a un'offesa. Se costoro, avendo
aperto un libro di storia, snocciolano
antichi spauracchi come se dagli anni '20 del secolo scorso il tempo non fosse
mai passato, allora dovrebbero anche sapere che ad ogni pressione corrisponde
una reazione. Dovrebbero sapere che se schiacciano, vessano, opprimono, prima o
poi i vessati e gli oppressi reagiscono per riappropriarsi dei loro diritti: si
fanno reazionari.
I nazionalisti non sono i critici di un
modello di economia usato come una frusta sui lavoratori dell'Europa del sud.
Nazionalista è infatti, innanzitutto, chi crede che esistano confini netti e
precisi che differenziano i popoli tra di loro, tracciando una linea di
demarcazione netta. E chi è più nazionalista di quelli che ci hanno dato a
intendere per oltre un anno che c'è un popolo di buoni e un popolo di cattivi,
che c'è un popolo di di parsimoniosi e un popolo di spendaccioni, un popolo di
saggi e un popolo di stolti? Chi ha suddiviso artificiosamente i cittadini
europei in classi, nonostante perfino un recente rapporto della Commissione
Europea abbia scritto nero su bianco che non c'erano sostanziali differenze tra
le economie di Italia e Germania, e che siamo stati penalizzati per il solo
fatto di appartenere a un territorio al di qua di un confine? Sono stati loro,
quelli del "ce lo chiede l'Europa", quelli che sentono le voci come
nuovi pastorelli di Medjugorje e rivolgono il viso al cielo sopra Berlino, in
stato di profonda adorazione e prostrazione, sono stati loro a menarcela per
tutto questo tempo con il fatto che "abbiamo vissuto al di sopra delle
nostre possibilità", ignorando forse volutamente i fondamentali
dell'economia. Sono loro che ci hanno fatto sentire come un popolo di cicale, a
dispetto del fatto evidente che abbiamo sempre fatto fatica ad arrivare alla
fine del mese, mentre al di là del confine ci sarebbe stato un popolo di
lungimiranti formichine che non chiedeva nulla per sé, quando in realtà sono
state proprio quelle formichine a dare origine alla crisi del nostro debito
sovrano e alla corsa alla speculazione, liberandosi di miliardi e miliardi dei
nostri titoli, allo scopo documentato di acquistarci a prezzo di saldo,
realizzando grandi profitti, estendendo la loro influenza sulle nostre
istituzioni e facendo il gioco delle superpotenze esportatrici di democrazia,
sempre a caccia di nuove opportunità.
Sono
stati loro, quelli contro i nazionalismi e i populismi, a insegnarci che
esistono popoli di serie A e popoli di serie B - e che noi non eravamo di certo
in prima classe - e dunque è a fronte di questa offesa originaria che si
sviluppa legittimamente la reazione: non siamo un popolo di serie B, ma non
vogliamo neppure essere un popolo di serie A, essendo contrari a qualunque
nuova apartheid di stampo europeo. Vogliamo però che la smettano di raccontare
frottole per inseguire le loro velleità di chirurgia plastica sovranazionale.
Vogliamo rispetto. Vogliamo confronto. Vogliamo ristabilire l'equilibrio
perduto tra le dignità di popoli, lingue e culture. Vogliamo che ci venga
restituita la rispettabilità che ci hanno tolto, e non i tedeschi, ma gli
adepti della setta elitaria europeista ad oltranza, tutta italiana,
macchiandoci di un peccato originale che non avevamo commesso e che non è
connesso a questa crisi che arriva da lontano, che non ha ache fare con il
debito pubblico e di cui non siamo responsabili, se non nella stessa misura in
cui lo sono tutti gli altri, nessuno escluso.
Se non vogliono rigurgiti di nazionalismo, la
smettano con la litania del rigore, con il mantra secondo il quale noi
"non lavoriamo quanto i tedeschi", quando ci sono studi indipendenti
di istituti finanziari francesi i quali dimostrano che, al contrario, noi siamo
quelli che lavoriamo di più e più a lungo. Se continuate a riferirvi al popolo
italiano come a un popolo di irresponsabili fannulloni, di profittatori che
viaggiano a sbafo, a rimorchio dietro al locomotore tedesco, siamo costretti a
ricordarvi che in Europa siamo quelli che hanno pagato di più e che hanno avuto
indietro di meno; che la crisi greca l'abbiamo pagata noi più dei tedeschi, che
pure erano quelli più esposti e che hanno avuto indietro i soldi; che grazie al
fondo salva-stati di cui nessuno ha avuto mai bisogno abbiamo regalato miliardi
su miliardi alle economie dei paesi dell'Europa centrale, Germania in testa;
che Berlino trucca i suoi conti per nascondere un debito che altrimenti sarebbe
di 7mila miliardi di euro; che aggirano il divieto di vendere i titoli di stato
alle banche centrali, facendoli comprare dalla Bundesbank sul mercato
secondario qualche giorno dopo l'emissione, e in questo modo "stampando
moneta" nei fatti (i titoli se li può comprare la Bundesbank), con buona
pace di italiani, greci, spagnoli, irlandesi e portoghesi. E potremmo andare
avanti...
Fare
queste rilievi sarebbe nazionalismo? A casa mia si chiama mantenere lucidità ed
equilibrio rispetto alle pressioni di chi, dopo avere mandato le nuove SS della
troika a Montecitorio e a Palazzo Marino, minacciando i parlamentari come era
accaduto l'ultima volta solo dopo la marcia su Roma, e dopo avere collaborato
alla destituzione di un Governo, con il plauso degli utili idioti, ora vorrebbe
perfino mandare un poplo alle cabine elettorali sotto dettatura, dando
indicazioni di voto come fece in occasione delle ultime elezioni in Grecia, per
fare non i nostri interessi, i quali devono essere stabiliti in completa
autonomia e senza interferenze esterne, ma quelli di una non meglio precisata
classe elitaria di burattinai autoproclamatisi governatori del buon senso e del
mondo intero. Se c'è un nazionalismo, questo non è che la legittima difesa di
un popolo che prima hanno identificato, costretto all'angolo e compattato,
chiamandolo per nome, denigrandolo, esponendolo alla pubblica gogna dei PIIGS,
facendolo diventare nella vulgata uno dei maiali d'Europa, e che adesso non ci
sta più, si rialza, si schicchera via la polvere dalla giacca, si presenta alla
tavola imbandita degli dei, si prende una sedia e, appoggiato il palmo della
mano sul tavolo, con le dita ben aperte, fissa negli occhi uno ad uno i signori
che giocano a Risiko sulla nostra pelle e, con le labbra sottili e tese, sibila
un perentorio "Game over!".
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