La
pubblicazione dei dati Eurostat sull'aumento della povertà e del
rischio-povertà in Europa ha suscitato sui media il solito
"dibattito", viziato in partenza dal rappresentare l'impoverimento
come un "problema", come un effetto indesiderato delle politiche di
"rigore". In realtà il bombardamento sociale del "rigore
finanziario" non è sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei
quali l'obiettivo dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle
bombe (tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero
possibile di "danni collaterali", cioè di vittime civili. Anche il
"rigore" è un business, ed il "danno collaterale" della
maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al business.
In
questi anni è risultato sempre più evidente il nesso consequenziale tra
l'aumento della povertà e la finanziarizzazione dei rapporti sociali. La
povertà diventa un business finanziario, costringendo i poveri
all'indebitamento crescente.
Pochi
giorni fa il governo tedesco ha potuto annunciare trionfalmente che l'obiettivo
del pareggio di bilancio è stato raggiunto con un anno di anticipo, e ciò
soprattutto grazie al fatto che la Germania ha potuto finanziare il suo debito
pubblico a tasso zero, poiché, contestualmente, sono stati i Paesi del Sud
dell'Europa non solo a pagare tassi di interesse più alti, ma anche ad
indebitarsi maggiormente. Dopo un anno in cui ci si era sempre detto che
"il problema è il debito", si è poi scoperto che il governo Monti non
soltanto non ha ridotto il debito pubblico, ma lo ha aumentato. Il cosiddetto
"spread" si è rivelato così una tassa sulla povertà, un'elemosina dei
poveri nei confronti dei ricchi.
Procede
intanto l'addestramento dei poveri all'uso degli strumenti finanziari. Il
governo Monti ha rilanciato la "Social Card" di tremontiana memoria,
annunciando la sperimentazione in alcune città e Regioni di una nuova versione
familiare della carta. Viste le cifre in ballo per questa carta prepagata, il
vantaggio per le famiglie è pressoché inesistente, semmai il vantaggio è per
BancoPosta che la gestisce.
Lo
scopo della social card è in realtà quello di allargare il target dei servizi
finanziari. Nata negli USA, anche lì "in via sperimentale", la Social
Security Card si è diffusa a macchia d'olio, tanto che i fruitori della carta
nel 2013 ammonteranno già a dieci milioni, secondo le stime di Comerica,
l'istituto di credito di Dallas a cui il Tesoro americano ha affidato il
business.
I
Paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono un target
inesauribile per l'offerta di servizi finanziari. Non soltanto la carta di
credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma questi sono anche fatti
oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi di questo
"servizio" finanziario. Il fatto è comprensibile, se si considera che
disoccupati e precari possono essere ridotti ad un livello assoluto di
dipendenza da questi strumenti finanziari; cosa che non sarebbe possibile nei
confronti di chi disponesse di fonti regolari di reddito. Se i prestiti ai
poveri fossero ancora in contanti, allora i rischi di insolvenza sarebbero
mortali per un business del genere; ma oggi c'è il denaro elettronico e le
banche non devono compromettere la propria liquidità per concedere carte di
credito.
I
poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti, ma le banche
intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva, attraverso quello
che chiamano un programma di "inclusione finanziaria". Il suono
nobile e commovente della parola "inclusione" serve a nascondere il
fatto che si tratta di un programma a basso rischio d'impresa per lo
sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più povere.
Il
governo britannico ha elaborato nel 2007 un piano di inclusione finanziaria per
salvare le masse di "unbanked" dal loro misero destino e per metterle
a disposizione dell'amorevole offerta di servizi bancari. Lo stesso governo
britannico ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua "spending
review" pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario.
Anche
la Banca d'Italia ha impostato un piano analogo, ciò in attuazione delle
indicazioni del G-20 a riguardo. A quanto pare il denaro elettronico ha un club
di supporter piuttosto nutrito.
La
Banca Mondiale, nella sua veste di agenzia specializzata dell'ONU, rappresenta
l'avanguardia in questo progetto di soccorso mondiale agli
"unbanked". Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale sino al
luglio scorso, ha profuso più di tutti il suo personale impegno nella
"financial inclusion". Zoellick costituisce il prototipo del perfetto
bombanchiere: proviene da Goldman Sachs e, nel periodo in cui ha fatto parte
dell'amministrazione Bush, è stato uno dei promotori più zelanti
dell'aggressione all'Iraq. Zoellick è anche un ospite d'onore, pressoché fisso,
del Consiglio Atlantico della NATO.
Le
banche in questo periodo hanno una pessima reputazione e, spesso, persino una
pessima stampa. Ma le denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice,
il diavolo si annida nei dettagli. C'è qualche prestigioso commentatore che
auspica addirittura un passaggio completo al denaro elettronico, con
l'abbandono definitivo del contante; ciò in nome della lotta all'evasione
fiscale, come se l'elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado
solo di "tracciare" e non potesse anche sviare. L'unico risultato
certo dell'adozione integrale del denaro elettronico, sarebbe invece quella di
rendere definitiva la "financial inclusion", cioè di non porre più
limiti alle possibilità per le banche di impoverire e sfruttare i popoli.
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