In
un’Italia confusa, distratta e passiva, priva di etica e valori, stordita dalla
miserrima situazione politica che annuncia improbabili luci alla fine di
interminabili tunnel, culturalmente e socialmente marcescente, possono sempre
più farsi strada complotti, congiure del silenzio, manipolazioni
dell’informazione e capovolgimenti della verità. Preparando disastrosi
cambiamenti che, appena qualche anno prima, sarebbero stati del tutto
impensabili.Come violare impunemente le norme, costruire ovunque a ruota
libera, cementificare ogni frammento di suolo, sfruttare pesantemente fiumi e
coste, foreste e montagne, e proclamare libera caccia dovunque: anche
all’interno dei santuari dove dovrebbe essere sempre rigorosamente proibita, e
cioè nel cuore dei Parchi Nazionali.Tutto ciò sta già da tempo avvenendo non
solo con il bracconaggio imperversante, talvolta grazie a sistemi clandestini e
silenziosi come trappole, lacci, esche avvelenate e tiro con arco e balestra:
ma anche con metodi più subdoli, quali le striscianti invasioni di
“selecontrollori” e l’allarme per i danni ingenti provocati da cani randagi
vaganti e da cinghiali introdotti a scopo di ripopolamento (in entrambi i casi,
ricordiamolo, prodotti non dalla “natura matrigna”, ma dai ripetuti errori
umani). E come dimenticare che di tanto in tanto, con banali pretesti, si
scatenano nuovi insidiosi tentativi di aprire la caccia al cervo e al lupo,
consentendola persino all’interno dei Parchi?
Proprio
nelle ultime oasi riservate alla pace e al silenzio, dove un animale selvatico
può allattare la propria prole, o venire ammirato a distanza, senza essere
disturbato… Ma in fondo, questa continua insistenza per cacciare all’interno
dei Parchi Nazionali costituisce la più evidente prova del fallimento d’un
certo mondo venatorio, costretto ad ammettere che nel territorio esterno, di
propria pertinenza, non c’è davvero più molto da cacciare.
Secondo
alcuni analisti ben informati, gli estremi espedienti di chi anela sparare
dovunque risiederebbero in tre obiettivi: norme più permissive, riformando la
legge-quadro sulle Aree protette; declassamento dei livelli di tutela delle
specie in pericolo, a cominciare dal prezioso Camoscio d’Abruzzo; e conquista di
posti-chiave nelle dirigenze dei Parchi. Cacciatori alla guida di Enti preposti
alla conservazione?
Un
fatto del genere suonerebbe altrove come un’eresia, ma da noi tutto sembra
possibile: e poi ci si sente rispondere che, in fondo, si tratta di bravissime
persone (magari sarà pur vero, ma non si percepiscono conflitti di interessi? E
loro cosa direbbero se a capo di un organismo pubblico di controllo della
caccia fosse collocato un animalista?).
E’
tempo, insomma, di aprire gli occhi e controllare con attenzione cosa stia
cambiando nel mondo della conservazione della natura, e dello sfruttamento
delle sue risorse. E’ vero ad esempio che alcuni gruppi protezionisti
proclamano di difendere meglio gli animali in pericolo ergendosi a paladini di
uno “sport nobile” come l’attuale caccia in Italia? E’ plausibile l’assunto che
l’attività venatoria non minacci in alcun modo le specie a rischio di
estinzione?
Fucili,
cartucce e “mitologie nembrottiane” possono ancora apparire adamantine come
venivano dipinte in passato, o non risentiranno troppo del banale consumismo
legato all’ industria armiera? Fervono i dibattiti, tagliano le risorse e la natura protetta intanto muore.
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