Il
pianeta che abbiamo sconquassato si rivolterà furiosamente. La folle avidità
della sconfinata espansione capitalista farà implodere l’economia mondiale. Il
sequestro delle libertà civili, attuato nel nome della lotta al terrore,
c’imprigionerà in una fitta rete interconnessa di sicurezza e sorveglianza, da
Mosca, passando per Istanbul, fino a New York. Per affrontare quello che ci
attende dobbiamo contare sull’immaginazione umana. Fu l’immaginazione umana che
permise agli Afro-Americani del tempo della schiavitù e di Jim Crow di
trascendere dalla loro condizione fisica.
Fu
sempre l’immaginazione umana che sostenne Toro Seduto ed Alce Nero mentre
assistevano allo scempio delle loro terre e culture. E fu l’immaginazione umana
che permise ai sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti di conservare
la forza del sacro.
E’
l’immaginazione umana che permette di trascendere. Canti, spirituals, gospel,
il blues, la poesia, la danza e l’arte si sprigionarono dalla schiavitù per
sostenere e nutrire l’immaginazione. Furono queste le forze che, come ha
scritto Ralph Ellison, “avevamo al posto della libertà.” Gli oppressi – che
conoscono il loro destino – sarebbero i primi ad ammettere quanto sia assurda,
a livello razionale, una tale nozione, ma sanno anche che è solo grazie
all’immaginazione che stanno sopravvivendo. Alcuni ebrei deportati ad Auschwitz
pare abbiamo fatto un processo a Dio per l’Olocausto e poi lo hanno condannato
a morte. Dopo il verdetto, era presente un rabbino per guidare le orazioni
serali.
Gli
Afroamericani e i Nativi Americani per secoli non hanno avuto mai molto
controllo sui loro destini. Forze bigotte e violente li tenevano soggiogati dai
bianchi. La sofferenza per gli oppressi era tangibile. La morte era la compagna
più fedele per loro. E fu solo la loro immaginazione, come scrisse William
Faulkner alla fine di “L’urlo e il furore” che gli permise di “resistere” - a
differenza della famiglia bianca dei Compson nel racconto.
Il
teologo James H. Cone ce lo rappresenta nel suo capolavoro: “La Croce e
l’albero dell’impiccagione”. Cone dice che per i neri oppressi la croce era “un
simbolo religioso paradossale perché invertiva il sistema di valori del mondo
con la novità che la speranza ci arriva attraverso la sconfitta, che la
sofferenza e la morte non hanno l’ultima parola, che gli ultimi saranno i primi
e i primi saranno gli ultimi”.
E
Cone continua:
“Che
Dio potesse tirare fuori il tutto dal niente” attraverso la croce di Cristo era
una totale assurdità per la ragione, eppure una profonda verità nell’animo dei
neri oppressi. Gli schiavi neri che per primi ascoltarono il messaggio
evangelico incentrarono tutto nel potere della Croce. Cristo crocifisso
manifestava l’amore e la presenza liberatoria di Dio proprio nella
contraddizione della vita dei neri a quei tempi – una presenza trascendentale
nella vita dei Cristiani neri, da cui traevano la forza per credere che alla
fine dei tempi, nel futuro escatologico di Cristo, non sarebbero stati
sconfitti dalle “pene del mondo”, per quanto grandi e profonde erano le loro
sofferenze. Credere in questo paradosso, questa assurda rivendicazione di fede,
era possibile solo con l’umiltà ed il pentimento. Non c’era posto per i superbi
e i potenti, per persone che credevano che Dio li chiamasse a comandare su
altri. La Croce era la risposta di Dio al potere (bianco) con l’amore senza
potere, che dalla sconfitta traeva la vittoria.
Reinhold
Niebuhr, come ci dice Cone nel suo libro, chiamava questa capacità di sfidare
le forze maligne “una sublime follia dell’anima”. Niebuhr scrisse che “solo la
follia può confrontarsi con le forze del male”. ”Questa sublime follia, come la
intende Niebhur, è pericolosa, ma anche vitale. Senza di essa “la verità viene
oscurata”. E anche Niebhur sapeva che il liberalismo tradizionale era una forza
inutile in quei momenti estremi. Al Liberalismo, disse Niebuhr “manca lo
spirito entusiasta, per non parlare del fanatismo, indispensabile per riuscire
a cambiare i percorsi del mondo”. “E’ troppo intellettuale e troppo poco
emotivo per essere una forza tale da muovere la storia.”
La
“sublime follia” di Niebuhr permette a tutti di vedere le possibilità di un
mondo che solo i visionari possono vedere, come gli artisti e i pazzi. E ci
permette di lottare per queste possibilità. I profeti della Bibbia Ebraica
avevano proprio questa pazzia sublime. Le parole dei profeti ebraici, come
scrisse Abraham Heschel, erano un “urlo nella notte. Mentre il mondo è in
quiete e dorme, il profeta sente le sferzate dal cielo””.
Primo
Levi nelle sue memorie “Se questo è un uomo” parla di quando insegnava
l’italiano ad un suo compagno di sventura, Jean Samuel, in cambio di lezioni di
francese. Levi recitava a memoria a Samuel il Canto XXVI dell’Inferno di Dante.
E’ la storia dell’ultimo viaggio di Ulisse.
Levi
scriveva: “Ha ricevuto il messaggio. Ha sentito che è qualcosa che riguarda
anche lui, è qualcosa che riguarda tutti gli uomini che faticano, e in
particolare riguarda noi qui.” E continua: “E’ di assoluta e vitale importanza
che lui ascolti, che lui capisca, prima che sia troppo tardi; domani io o lui
potremmo essere morti, o non potremmo più rivederci.”
Dal
ghetto di Varsavia il poeta Leon Staff scrisse: “In questo momento, abbiamo
bisogno della poesia prima ancora che del pane; proprio ora, che sembra che
essa non serva più a niente.”
Solo
chi fa appello all’immaginazione, e attraverso questa aiuta anche chi soffre
insieme a lui, riesce a trovare la forza per resistere.
“
… La gente notò che Cavallo Pazzo era più bizzarro del solito,” disse Alce Nero
ricordando gli ultimi giorni della guerra contro gli indiani d’America. E
sempre parlando del grande guerriero Sioux: “Non era quasi mai
all’accampamento. La gente lo trovava da qualche parte all’aperto, al freddo, e
gli chiedeva di tornare a casa con loro. Ma lui non ci andava, anzi a volte
diceva alla gente quello che dovevano fare. A volte sembrava che non avesse
mangiato niente da giorni. Una volta mio padre lo trovò così, da solo, e lui
disse a mio padre: “Zio, hai notato come mi sto comportando. Ma non devi
preoccuparti, ci sono grotte e caverne dove posso benissimo vivere, e lì gli
spiriti possono aiutarmi. Sto facendo dei piani per la mia gente.”
Omero,
Dante, Beethoven, Melville, Dostoevskij, Proust, Joyce, W.H. Auden, Emily
Dickinson e James Baldwin, ed altri artisti come lo scultore David Smith, la fotografa
Diane Arbus e il musicista blues Charley Patton, ce l’avevano tutti. Quella
sublime pazzia che fa cantare, come fece il bluesman Ishman Bracey nella Contea
di Hinds, Mississippi. “Sto male da così tanto tempo che stare male non mi
preoccupa più”. E nelle nebbie dell’immaginazione si trova anche la certezza
della giustizia divina.
Sento
sorgere il mio inferno, sorge ogni giorno;
sento
sorgere il mio inferno, sorge ogni giorno;
Un
giorno brucerà tutte queste foglie e laverà via il mondo intero.
I
più grandi eroi ed eroine di Shakespeare—Prospero, Antonio, Giulietta, Viola,
Rosalinda, Amleto, Cordelia, e il Re Lear – hanno tutti questa sublime follia.
Come dice Teseo nel “Sogno di una Notte di Mezza Estate”:
(..)
Amanti e pazzi hanno un cervello così fervido,
una
fantasia così fertile, che concepiscono
più
di quanto la fredda ragione possa comprendere.
Il
lunatico, l'amante e il poeta
sono
tutti fatti d'immaginazione. (..)
E
infine, l’artista ed il rivoluzionario fanno quello che fanno e pagano
qualsiasi prezzo debbano pagare, poiché entrambi sono posseduti da una visione;
e non sono tanto loro che seguono la visione, è la visione che li trasporta.”
Scrisse James Baldwin. “Altrimenti, non resisterebbero così a lungo, non
potrebbero abbracciare così a lungo la vita che sono spinti a condurre.”
Chris
Hedges
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