"Spesso
ci sono più cose negli spazi bianchi tra le righe, che nelle parole".
Adele
era una vecchia, o, perlomeno, così appariva agli occhi di noi fanciulli. Vecchia
d’anni e di dolori, viveva sola, in una casa più simile a un tugurio che a una
dimora. Lontana in maniera abissale da quelle immagini di lindore ed ordine con
cui la pubblicità dei detersivi ci mostrava le case delle nonne. Più simile, per
noi, all’antro scuro e tetro delle streghe delle fiabe. E proprio come una strega o
una befana, appariva a noi Adele. Al punto che rappresentava una prova di
coraggio avvicinarsi all’uscio e sbirciare dentro quell’unica stanza che era
tutta la sua casa. Era costantemente immersa nel buio e gli occhi non facevano
in tempo a regolarsi nella messa a fuoco per la poca luce, che il coraggio
veniva meno, e, soddisfatti per l’audacia dimostrata si scappava sghignazzando
con un occhio alle spalle per il timore di essere inseguiti da chissà quali
demoni.
L’altra
cosa che colpiva era l’odore, in quella casa non si respirava mai odore di
cucina o di pulito, prevaleva quello di vecchio e ammuffito, tipico delle case
chiuse e disabitate da anni.
Ma
quella non era disabitata, Adele c’era ed era viva e sola!
Di
quella solitudine che fa male solo a pensarla, e che, noi nella perfida
innocenza infantile vestivamo di chissà quali misteri
Da
quel comignolo non usciva mai fumo, segno che neanche d’inverno si scaldava,
facendosi bastare le coperte e i vestiti smessi che alcuni vicini di buon cuore
le portavano insieme a qualcosa da mangiare.
Usciva
pochissimo, qualche volta per andare a messa, quella vespertina, meno affollata,
in cui la sua presenza sarebbe passata più facilmente inosservata, e, una volta
al mese per andare alla Posta a ritirare la misera pensione sociale.
Dai
discorsi orecchiati dai grandi sapevamo che, forse, era stata anche felice un
giorno, con un compagno e dei figli, due o tre, sul numero non c’era certezza.
C’era
la guerra e il suo compagno era uscito per il suo quotidiano giro alla ricerca
di un lavoretto qualsiasi che gli permettesse di non tornare a casa a mani
vuote. Era prudente e attento, ma non più di tanto, perché sapeva che l’unica
sua colpa era di avere fame e che, se anche l’avessero fermato le pattuglie
tedesche o fasciste, non poteva essere accusato di alcunchè, essendo l’unico
suo interesse e impegno quello di provvedere ai bisogni della sua famiglia.
Quel
giorno, però, qualcosa dovette andare storto, perché, come raccontarono alcuni
testimoni ad Adele, fu visto spintonato da soldati tedeschi e costretto a
salire su un camion insieme ad altri per destinazione ignota.
I
giorni seguenti Adele li passò alla febbrile ricerca di notizie, sbattendosi da
un ufficio a una caserma, ma, la sua condizione di donna, perlopiù povera, non
era sufficiente a smuovere interesse, soprattutto in quei mesi di estrema
confusione.
Passarono
i giorni, i mesi, gli anni e Adele non seppe mai cosa fosse successo al padre
dei suoi figli, arrivando a pensare anche, che la guerra potesse essere stata una buona scusa per scappare via da famiglia e responsabilità per godersela, magari, con una nuova compagna
chissà dove.
Passarono
gli anni e passò anche la legge che, pure nell’ Italia Repubblicana e
democratica, non tollerava la miseria, arrivando a toglierle l’unica cosa
rimasta: i figli!
Altri
giri, altri uffici, altre speranze vanificate dalla sua condizione di povertà.
Qualche
funzionario un po’ più sensibile la consolava dicendole che, alla fin fine era
meglio così, almeno loro, i figli, avrebbero avuto un futuro e una possibilità
nella vita.
Da
allora la sua unica compagnia fu la solitudine, avendo perso anche quella della
speranza, e attraversando chissà quali percorsi e vicissitudini era arrivata
fino a quel tugurio, impropriamente chiamato casa, coabitando con se stessa e i
suoi fantasmi.
Fu
di notte, era settembre, fummo svegliati da urla disperate di donne, di uomini,
latrati di cani. “Hanno ferito Adele correte!”
Adele,
chi? Perché?
Fu
trovata in un angolo della sua casa, respirava a malapena, al consueto odore di
sporco e chiuso si era aggiunto quello del sangue e della paura.
Tre
balordi si erano infilati in casa, attirati probabilmente dalla misera pensione
ritirata da poco, e, non trovandola, infastiditi dalle urla di Adele l’avevano
picchiata prima di fuggire.
Il
suo corpo e la sua anima provati già da mille dolori e privazioni pensarono che
quella fosse una buona occasione per liberarsi delle pesanti catene impostele
dalla vita.
E
mentre si aspettava l’arrivo dell’ambulanza con la casa piena di persone, Adele
fece un sorriso e un cenno di saluto a tutti i presenti. Poi un colpo di tosse
fu l’ultimo sussulto di vita prima di volare via.
Era
contenta in quel momento Adele! Dopo aver vissuto mille vite da sola, era
riuscita a morire in compagnia.
MIZIO
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