lunedì 4 febbraio 2013

LAVORO! PROBLEMA CAPITALE?



In questi giorni di campagna elettorale siano sommersi da un diluvio di proposte, preoccupazioni, auspici, progetti, riforme tutte incentrate sulla parola magica: ”lavoro”.
Ne parla il Cavaliere d’ Arcore, ne parlano Monti, Bersani, sindacati, imprenditori e chi più ne ha più ne metta!
Se poi allarghiamo lo sguardo al mondo intero ci accorgiamo che il leit-motiv è quasi uguale dappertutto: lavoro, lavoro, lavoro!
Lavoro si, ma quale. Quello che manca e che non ci sarà più, quello globalizzato al minor costo possibile, quello inventato, quello precario, quello sfruttato?
Credo che questa crisi sistemica offra tra tanti guai e problemi un’occasione unica per rivedere l’intero assetto societario a partire proprio dalla considerazione che si deve avere nei confronto del lavoro e conseguentemente dei lavoratori. Non dimentichiamo che, dietro cifre e statistiche ci sono persone, esseri umani (in Italia nel 2012 circa tre milioni di disoccupati).
Tutte le ricette che vengono proposte si muovono tutte all’interno dello stesso paradigma capitalistico, quello cioè che considera il lavoro e i lavoratori come una delle tante voci del bilancio, soprattutto nella sua ultima e più cinica versione di capitalismo globalizzato, liberista e finanziario, e quindi l’eventuale soluzione la ricercano all’interno di una sostenibilità puramente economica anzichè in una sostenibilità sociale e ambientale tesa a un miglioramento del benessere collettivo e globale. Impossibile secondo loro ,possibilissimo, invece, se si adottano punti di vista diversi.
All’inizio della società capitalista nata dalla rivoluzione industriale del 18° secolo, venivano considerati quasi naturali i privilegi del “padrone” che andavano ad affiancarsi  ai privilegi già esistenti dei nobili dell’epoca, spesso sovrapponendosi. Si giustificava tale condizione con l’argomentata convinzione che l’arricchimento dei pochi favorisse anche i più disagiati, in quanto parte della ricchezza sarebbe stata  reinvestita in attività produttive creando ulteriore benessere. Teoria destinata a rimanere uneca se, nella metà dell’ottocento non facessero irruzione nello stagnante pensiero dominante le teorie marxiste e socialiste che immettevano nel dibattito concetti come giustizia, libertà e riconoscimento, anche economico, di quelli che fino ad allora erano considerati poco più che schiavi.
Sull’onda delle potenti pressioni e lotte della classe operaia, spesso soffocate nel sangue, sotto forma di moti, rivoluzioni , ben due guerre mondiali fino ad arrivare alla contestazione globale degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, i lavoratori conquistarono uno status sociale più dignitoso anche se ancora non liberati del tutto dalla schiavitù del bisogno, non più, però, così estremo.
Arriviamo, così, ai giorni nostri, cioè agli ultimi 30 anni in cui, grazie al progresso delle tecnologie e degli strumenti di  comunicazione di massa, con cui si sono imboniti interi popoli, il capitalismo ha ripresentato il suo volto più arcigno e becero (che solo gli ingenui e quelli in malafede potevano considerare superato), inventando nuove forme di ricatto sociale come la globalizzazione, e presentandola come se fosse un qualcosa caduto dal cielo e non una precisa strategia per l’abbattimento dei costi, per una maggiore ricattabilità dei lavoratori e per i maggiori profitti.
Si andava a schiavizzare popoli fino ad allora ai margini dello sviluppo, così come concepito nell’occidente, lasciando dappertutto disastri, sia dal punto di vista sociale che ambientale. Accanto a questo, un nuovo tipo di capitalismo (sempre presente ma meno visibile) prendeva forma in maniera aggressiva e brutale, quello finanziario che, grazie alla complicità o incapacità delle classi politiche, in pochi anni diventa padrone del mondo relegando in secondo piano le problematiche sociali mettendo al centro del dibattito la finanza  e le sue voraci e insaziabili esigenze.
Oggi il debito pubblico mondiale ammonta a circa sei trilioni di dollari, cioè più di tutti i bilanci di tutti i paesi messi insieme. Solo questo basterebbe a far riflettere sull’insostenibilità di questo sistema e a capire che, muoversi all’interno di questo recinto, non può, ragionevolmente, portare da nessuna parte, se non in un generale e drammatico impoverimento collettivo.
Si dirà: ma il capitalismo tra le tante storture qualcosa di buono l’ha fatto, ad esempio la democrazia.
Bene, non sarò io a confutare il valore della democrazia, a patto che democrazia voglia dire rappresentanza e difesa di tutti e non solo esercizio sterile e spesso inutile del voto, soprattutto se a presentarsi alla guida dei paesi sono forze che rappresentano interessi economici distinti, ma tutti all’interno dello stesso sistema, per cui spesso si viene chiamati a votare “contro” e non “per”. Prova ne siano le grandi cifre dell’astensionismo soprattutto in quei paesi, come si ama definirli, a democrazia avanzata.
Quando la democrazia era meno avanzata ma più vicina alle persone i lavoratori erano sicuramente più rappresentati. Oggi invece se ne invoca il voto (in-utile) sapendo già che, chiunque vinca, non sarà in grado, aldilà delle promesse e delle chimere elettorali, di fare alcunchè per cambiare la drammatica situazione.


E anche stavolta sarà presumibilmente così, poco più della maggioranza andrà ad esprimere un voto che, comunque vada, non cambierà le cose per i lavoratori e per chiunque sia alla disperata ricerca di una fonte di sostentamento economico. Bene che vada gli unici a coronare questo sogno saranno i nuovi eletti che potranno dire di avercela fatta, visto che, oggi, fare politica vuol dire, troppo spesso, risolvere i propri problemi aggravando o infischiandosi di quelli drammatici dei propri elettori.
Le poche forze che propongono qualcosa di nuovo (in Italia Movimento 5 stelle e Rivoluzione Civile) vengono tenute ai margini dei dibattiti e dell’informazione con il risultato di essere considerati movimenti folkloristici o sorpassati!
Ma temi come la politica ambientale, la redistribuzione della ricchezza (che c’è se la depuriamo delle false tigri di carta del debito pubblico e dei lacciuoli burocratici imposti dal potere finanziario), lo sviluppo sostenibile dei paesi del terzo mondo, finora legato esclusivamente allo scimmiottamento dello sviluppo economico occidentale, sono temi non più eludibili da parte di nessuno, tantomeno da parte di chi si candida alla guida del paese.
Cominciare a considerare il lavoro un dovere ma anche e soprattutto un diritto che sia teso al benessere e al soddisfacimento  collettivo e personale.
In cui il merito e le capacità non siano svilite da pratiche clientelari e di nepotismo, in cui invece che inseguire grandi opere per gli appetiti dei grandi speculatori a scapito dell’ambiente e delle persone private dei loro diritti , si facciano le mille opere necessarie per il bene comune, si incentivi e sviluppi la ricerca (in tutti i campi), si liberino le risorse finora impegnate nel mantenimento degli eserciti, utili solo ad un equilibrio basato sulla paura reciproca (il Costarica da 60 anni ha abolito le forze armate ed è il paese più pacifico in una regione in cui gli eserciti degli altri paesi hanno instaurato spesso regimi violenti e dittatoriali appoggiati e foraggiati dall’America).
Nell’immediato cominciare a svincolarsi dal cappio imposto dall’Europa delle banche, rinegoziando i patti colpevolmente e frettolosamente presi (MES), recuperare, almeno in parte, l’autonomia monetaria (In Europa i paesi che resistono meglio alla crisi sono quelli fuori dall’euro come la G.Bretagna e i paesi Scandinavi). Per fare questo nell’immediato non c’è bisogno di rivoluzioni o sommosse, c’è bisogno di scelte coraggiose, e per farle non c’è bisogno di eroi. Le scelte dell’Islanda, dell’Argentina, dell’Equador, della Bolivia, del Venezuela stanno lì a dimostrare che si può fare, basta volerlo.
Il lavoro non può e non deve essere più una chimera per chi non l’ha, e non può e non deve più essere una dannazione e un incubo per chi ce l’ha!
Non si può essere poveri lavorando e non si può essere disperati se non si lavora. Lavorare meno lavorare tutti ma, soprattutto lavorare meglio! Più che un obiettivo una necessità!

MIZIO

Nessun commento:

Posta un commento