mercoledì 1 giugno 2011

Addio welfare europeo: Bruxelles suicida il futuro

Negli ultimi cinquant’anni il modello sociale europeo ha migliorato la vita di decine di milioni di persone, convinte che il destino dei figli sarebbe stato migliore di quello dei genitori. Ora il sogno è finito: i governi dicono che ormai, per non morire di debito pubblico, è necessario tagliare tutto: pensioni, sanità, scuola, università, salari e diritti. Questo spiega la rivolta degli studenti inglesi, le manifestazioni francesi contro i tagli delle pensioni e l’agitazione dalla Fiom in difesa del lavoro. L’Europa incolpa la crisi e l’eccessivo costo del welfare? Peccato, scrive il sociologo Luciano Gallino, che le entrate siano diminuite prima ancora della crisi: dal 2000, i ricchi hanno pagato sempre meno tasse.

Argomenti che, su “Repubblica”, Gallino oppone al “sillogismo di Trichet”, il presidente della Banca Centrale Europea, secondo cui è giunto il tempo di “tirar cinghia” dato che i cittadini europei sono ultra-indebitati: fra ricapitalizzazioni, garanzie e acquisto di titoli tossici, sulle spalle dei risparmiatori grava un fardello da 4 trilioni di euro, pari a 4.000 miliardi, quasi tre volte il Pil italiano. L’unica ricetta di Trichet: tagliare la spesa pubblica, per rimediare all’indebitamento. Che secondo i governi europei dipende da un’accoppiata infernale: il deficit crescente dei bilanci pubblici, indotto dai costi eccessivi dello stato sociale, e la parallela diminuzione delle entrate fiscali causata dalla crisi. «Nessuna delle due giustificazioni sta in piedi», dichiara Gallino.

Il deficit medio dei bilanci pubblici nei paesi della zona euro, spiega l’editorialista, era appena dello 0,6 per cento del Pil nel 2007. Nel 2010 risulta aumentato di 11 volte, toccando il 7 per cento. Colpa di un eccesso di spesa sociale? «Certo che no». Nel periodo indicato, il costo del welfare è «stabile o in diminuzione». A far saltare i conti, dice Gallino, è stata semmai la crisi finanziaria. Quanto alle entrate, sono diminuite ben prima della crisi, «a causa della forte riduzione delle tasse». Sgravi fiscali «di cui hanno beneficiato soprattutto i patrimoni e i redditi più alti». In Francia, ad esempio, un rapporto presentato a giugno lamentava che a causa delle “massicce riduzioni” delle imposte, dal 2000 in poi le entrate statali hanno subito perdite valutabili tra i 100 e i 120 miliardi di euro.

Gallino denuncia «l’attacco al modello sociale europeo» portato dai governi di destra, «magari con etichetta socialista, come quello di Zapatero». E il governo italiano? «Appare del tutto allineato e coperto: taglia alla grossa la spesa sociale in modi diretti e indiretti, tra cui la drastica riduzione dei trasferimenti agli enti locali». Per di più, il sistema-Italia è molto più fragile, visto che gli italiani non possono contare su ammortizzatori sociali di livello europeo: sussidi di disoccupazione pluriennali che tocchino l’80% della retribuzione, solidi servizi alle famiglie come avviene in Danimarca, reddito minimo garantito come per i francesi. Tantomeno, gli italiani ricevono «gli alti salari inglesi o tedeschi, che almeno quando uno lavora permettono di reggere meglio le riduzioni dei servizi sociali».

Secondo Gallino, l’attacco dell’Europa al proprio modello sociale «non è soltanto iniquo, è pure cieco, perché apre la strada a una lunga recessione». Meno scuola e meno università «significano avere entro pochi anni meno persone capaci di far fronte alle esigenze di un’economica innovativa e sostenibile». Inoltre: «Infrastrutture sgangherate costano miliardi solo in termini di tempo», e servizi sociali in caduta libera «vogliono dire meno occupazione sia tra chi li presta, sia tra chi vorrebbe disporne per poter lavorare». Attaccare il welfare europeo tradisce una «vocazione al suicidio economico» e mina il fondamento dell’identità europea, distruggendo la solidarietà sociale: a una generazione intera, che (quando ha un lavoro stabile) va incontro a pensioni che stanno scendendo verso la metà dell’ultima retribuzione, «è arduo chiedere di pagare la crisi una seconda volta» (info: www.repubblica.it).

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